Carrie Fisher 

                            Ovvero l'arte di imparare a scriversi i copioni da sé

(di Niana Vinci)

Carrie Fisher aveva due certezze nella vita:

la prima, che a diventare famosa non era stata lei, ma la Principessa Leila di Star Wars, che il caso aveva voluto avesse la sua faccia.

La seconda, che avrebbe voluto scomparire dentro una pillola di Prozac e non uscirne mai più.

Per il resto aveva un gran senso dell'umorismo.

Figlia di Eddie Fisher e Debbie Reynolds, "la coppia perfetta d'America", ammise di non essere nata per essere famosa, ma di essere nata famosa.

Quando le chiesero come fosse essere figlia di celebrità rispose che a due anni era convinta che tutti avessero matrigne che vivevano in un bungalow al Beverly Hills Hotel indossando vestaglie, (parlava di Liz Taylor), e quando a quindici anni dichiarò di voler provare l'LSD, sua madre chiamò a dissuaderla il più grande consumatore di LSD di tutta Hollywood: Gary Grant. (Che fallì clamorosamente l'estemporanea interpretazione: Carrie aveva iniziato a drogarsi a tredici anni, e non smise mai per tutta la vita).

Il suo viso e il suo modo di muoversi l'hanno resa indistinguibile da alcuni dei ruoli più iconici della storia del cinema (recitò in Star Wars, The Blue Brothers, Anna e le sue sorelle, Harry ti presento Sally e non ultimo nell'episodio di The Big Bang Theory in cui strilla contro James Earl Jones, voce di Dart Vader), ma il ruolo che davvero sentì suo non lo interpretò mai: è quello di Suzanne Vale in "Lettere dall'inferno", che valse l'oscar a Meryl Streep.

Carrie lo rifiutò, perché disse, "l'ho già fatto".

Non lo interpretò. Ma lo scrisse.

"Lettere dall'inferno" è un collage dei suoi diari, da quando ha iniziato a tenerne uno all'età di tredici anni fino al 1987, anno in cui viene pubblicato come romanzo semi autobiografico e diventa bestseller. Inizia con uno degli incipit migliori della letteratura mondiale, questo: "Forse non avrei dovuto dare il mio numero al tizio che mi ha fatto la lavanda gastrica, ma che importa? Tanto la mia vita è comunque finita.", e prosegue raccontando com'è vivere la propria vita a Hollywood, "dove tutto è troppo eccitante per troppo tempo".

Suzanne è un personaggio brillante, complicato, e assolutamente tragico. Interprete di ruoli marginali, è figlia d'arte di un'attrice in declino, Doris, impersonata da una fin troppo credibile Shirley McLaine, a cui Carrie fa dire alla figlia: "Io sono venuta dal niente e ho fatto qualcosa della mia vita, tu vieni da qualcosa e non hai fatto niente della tua".

È consapevole che la sua carriera non è sicuramente agevolata dal fatto che faccia uso abituale di LSD e abbia una seria dipendenza da cocaina, ossicodone e alcol. Tanto grave da impedirle di recitare una scena intera per volta, e che spesso le è costata l'allontanamento dal set e la minaccia del licenziamento. Suzanne/Carrie dovrà superare un'overdose, e la lavanda gastrica durante la quale distribuisce generosamente il suo numero è la ciliegina sulla torta di un gravissimo esaurimento nervoso che la condurrà ad accettare la diagnosi di disturbo bipolare che le era stata fatta quattro anni prima. Verrà curata con l'elettroshock e un'infinita serie di medicinali, a cui lei non mancherà per tutta la vita di aggiungere le sostanze che si somministra per conto suo.

Carrie ci racconta di come a soli vent'anni divenne il sogno erotico di migliaia di uomini in tutto il mondo, che la sognavano legata e prigioniera del villain di turno con indosso soltanto un bikini dorato. La metamorfosi da comandante supremo delle milizie supreme del bene a fanciulla bisognosa di protezione fece infuriare la critica, ma non turbò minimamente lei. Carrie sapeva bene che il ruolo dell'interprete è seguire il copione, e il copione viene sempre scritto da altri.

In compenso il sogno erotico della popolazione maschile dei primi anni Ottanta ci confessa di essersi regolata con gli uomini come ha sempre fatto con gli oppiacei: senza accanirsi in un uso forzato della monogamia.

Riesce a gestire senza menzogne e senza problemi tre uomini alla volta, e non manca mai di avere relazioni con gli attori che incontra sul set. Harrison Ford, Dan Aykroyd eccetera eccetera, ma il grande amore della sua vita è uno che i testi li scrive, non li recita: Paul Simon, del duo folk Simon e Garfunkel. Il loro legame è profondo, intenso e travagliato. Entrambi afflitti da un'abissale depressione (quella di lei era il buio contraltare dell'esaltante, tremenda euforia indotta dal disturbo bipolare), cercheranno sollievo lui nella psicoanalisi, lei in frequenti viaggi in Svizzera per rifornirsi di stupefacenti.

Hanno entrambi scritto l'uno dell'altro.

Paul scriverà di lei e per lei "Hearts and Bones" e "She moves On".

Pochi mesi dopo la sua morte uscirà puntuale la biografia di Simon, in cui lui, o il suo biografo, scriverà a proposito di Carrie: "lei è un specie di bellissima trottola inarrestabile." Una trottola che si alzava a mezzanotte per andare a ballare fino all'alba, o che si metteva a fare solitarie partite di biliardo, strafatta, nel cuore della notte. Una trottola infuocata e tagliente, che si muoveva come un tornado per giorni o settimane.

La donna che diventerà famosa per l'acido umorismo della sua scrittura, non riuscì mai ad accettare l'amore dell'unico uomo che abbia mai amato perché non si sentiva all'altezza del suo talento (questo a dire il vero lo scrisse il suddetto biografo, quindi non ci metterei la mano sul fuoco), e il loro amore ha un finale amaro e irreversibile: amaro come l'Ayahuasca che decidono di prendere insieme durante un viaggio in Amazzonia. Paul racconterà che Carrie salirà sull'aereo del ritorno senza più rivolgergli la parola. Non la rivedrà mai più.

Carrie scriverà altre tre semi biografie: "Surrender the Pink" (reso in italiano con l'impareggiabile "non c'è come non darla"), "The best Awful there is" e "Delusions of Grandma", e per i successivi quindici anni affilerà i dialoghi di decine e decine di film, principalmente film d'azione, nella veste di sceneggiatrice.



Alla sua storia decennale con Simon dedicherà le seguenti tre righe: "La cosa brutta della mia relazione con Paul era che eravamo animali simili. Dovevamo essere un fiore e un giardiniere e invece eravamo due fiori nel sole splendente. E quindi bruciavamo".

A quello che diventerà suo marito e il padre di sua figlia, Bryan Lourd, e che la lascerà perché scopertosi gay, due: "faccio diventare la gente gay. È un inusuale super potere".

Che se ci pensate, è una cosa ironica da dire per la più grande icona sexy degli anni Ottanta.

Nel 2008 pubblicherà un memoir nudo e crudo, tratto da una piece teatrale in cui lei è l'unica attrice sul palco per tutte e tre le ore dello spettacolo, e intrattiene il pubblico col racconto di tutti gli episodi più tragici, assurdi e imbarazzanti della sua vita. Sola su quel palco Carrie racconta senza giri di parole il suo difficile rapporto con la principessa che portava il suo stesso volto, con la madre, (di cui dirà: "sono cresciuta guardandola recitare la parte dello show-must-go-on fino al ridicolo"), con la sua malattia, e con la sua tossicodipendenza.

Si dice che qualche volta andasse a braccio.

"Wishful Drinking" avrà un enorme successo di pubblico. Carrie userà l'attenzione mediatica di ritorno e la sua fama planetaria per farsi portavoce della lotta contro i pregiudizi sulle malattie mentali. Foto di quegli anni la ritraggono sorridente con un'enorme pillola di Prozac tra le mani. È un oggetto da collezionismo, originale, prodotto all'inizio degli anni Cinquanta in ceramica, ed è uno degli acquisti di cui Carrie è più orgogliosa.

L'ultimo dono di sé che Carrie ha fatto al suo pubblico è stato al cinema.

Nella saga di Star Wars.

Nel ruolo della Principessa Leila.

Da sempre refrattaria alla chirurgia estetica (al contrario di sua madre, ma questa è un'altra storia), ha mostrato una Leila invecchiata e bellissima, appesantita dagli anni e dalla vita, con tutte le rughe al posto giusto.

Nessuno ha fatto commenti sulla sua interpretazione. Critica e fanbase hanno criticato unanimamente il suo aspetto. Dal suo sito web, Carrie ha risposto:

"Scusatemi tanto se dopo Star Wars non ho mangiato solo lattuga e semi di girasole. Se proprio insistete smetterò di nutrirmi e di prendere gli psicofarmaci per il disturbo bipolare, così potrete venire tutti a trovarmi in manicomio. Dove mi troverete ultra magra nel mio bikini metallico, proprio come allora."

Carrie è morta a sessanta anni per un'apnea respiratoria. Nel suo sangue c'erano tracce di ecstasy, cocaina ed eroina. Il fratello Todd ha detto che trovava che fosse la cosa più appropriata per lei, e ha rispettato le sue ultime volontà.

Carrie è stata cremata. Le sue ceneri riposano dentro un'enorme pillola di Prozac.


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