Ci sono libri che ti rubano l'anima: "Sulla pelle viva. Come si costruisce una catastrofe. Il caso Vajont" " di Tina Merlin

Ci sono libri che ti tengono incatenato alle loro pagine anche se ne conosci benissimo il finale. Libri che raccontano una verità così agghiacciante e terrificante che stenti persino a credere alla veridicità di certe affermazioni, nonostante la loro autenticità sia ormai fuori discussione, poiché accettarla equivale quasi a un'ammissione di colpa. Sono libri così sconvolgenti e per certi versi illuminanti che tu non puoi far altro che proseguire imperterrito nella lettura, parola dopo parola, infangandoti nei fatti che raccontano, impantanandoti nei dati apocalittici che ti spiattellano nero su bianco, sperando che improvvisamente qualcosa cambi, che il libro inverta la rotta e ti riporti su percorsi più comodi e rassicuranti, poiché non puoi credere che le cose siano davvero andate così. Ma nulla cambia e ti ritrovi alla fine del libro svuotato, pieno di risentimento, di sconcerto e di paura perché sai che ciò che è scritto su quelle pagine potrebbe accadere nuovamente. Uno di questi libri è "Sulla pelle viva. Come si costruisce una catastrofe - il caso Vajont" di Tina Merlina.

"La storia del «grande Vajont», durata vent'anni, si conclude in tre minuti di apocalisse, con l'olocausto di duemila vittime."

Così, con queste poche parole, Tina Merlin riassume ciò che è accaduto il 09 ottobre 1963. Parole atroci che scuotono le coscienze e ti buttano in una dimensione apocalittica dove non c'è scampo per nessuno.

Con questo libro Tina Merlin mette tutti, uno a uno, sul banco degli imputati argomentandone le responsabilità, le negligenze, le bassezze umane, le mancanze civiche e coscienziose che si sono accumulate in oltre vent'anni di storia, goccia dopo goccia, fino a giungere all'inevitabile epilogo che è reso ancor più tragico dalla consapevolezza che questa tragedia annunciata avrebbe potuto essere evitata se solo i protagonisti di questa triste storia avessero fatto il loro dovere e non solo quello che il dio denaro, la sete di potere, di prestigio personale e il desiderio di onnipotenza comandavano.

Vent'anni. Sono lunghi vent'anni ed è assurdo che in tutto questo tempo non ci sia stato un solo potente che si sia reso conto che ciò che si stava compiendo a suon di firme, menzogne, ricatti, cene faraoniche e carte bollate era un pluriomicidio premeditato aggravato da futili motivi.

"Utilità sociale" era questa la scusa che la SADE (che Tina Merlin accomuna ai nazisti che erano appena stati scacciati) spiattellava sotto al naso degli abitanti della valle del Vajont per espropriarne le terre, per inondarne le case, per deturpare la natura, per ignorare la saggezza popolare considerata vetusta rispetto alla scienza e alla tecnologia di una modernità votata però solo al profitto e non certo "all'Utilità sociale" di cui si riempiva la bocca solo per riempirsi le tasche e l'ego.

Uno degli aspetti che fanno rabbrividire è la collocazione temporale degli eventi. Nel 1943 l'Italia era ancora sotto assedio, gli italiani erano impegnati nella Seconda Guerra Mondiale eppure la SADE zitta, zitta preparava in sordina tutto il necessario da presentare al ministero per ottenere l'autorizzazione per la costruzione della più grande cascata ad arco del mondo, e ci riuscì! E quello che fa accapponare la pelle, oltre al freddo tempismo e alla bieca indifferenza al periodo storico, allo stato di emergenza e alle priorità di un popolo devastato dalla guerra, è lo spregiudicato cinismo con cui gli ingegneri della SADE, gli scienziati che si sono susseguiti e i politici che si sono succeduti abbiano ignorato completamente la morale della guerra appena conclusa. In battaglia si combatteva contro i pazzi della razza pura che volevano sterminare gli inferiori, e poco dopo questi cinici spregiudicati si convinsero di poter fare lo stesso con i propri connazionali che avevano l'unica "colpa" di vivere in un luogo in cui loro avevano messo gli occhi e che volevano piegare e sottomettere a loro piacimento con l'unico scopo di produrre il massimo del profitto possibile, calpestando i diritti degli abitanti di Erto, Casso, Longarone e di tutta la vallata, umiliandoli, depredandoli, facendoli passare per pazzi agli occhi di un paese che non aveva idea di quale tragedia si stava per compiere, e infine sterminandoli.

Tina Merlin non risparmia nessuno. Lei che per tutta la durata della storia del grande Vajont ha gridato a gran voce dalle colonne de l'Unità lo scempio che si stava compiendo, prevedendo la tragedia che si sarebbe compiute e ricevendo in cambio una citazione in giudizio per aver scritto "notizie false e tendenziose atte a turbare l'ordine pubblico e precisamente la sussistenza di un grave pericolo per la esistenza stessa del paese di Erto a ridosso del quale si stava costruendo un bacino artificiale di 150.000.000 di metri cubi d'acqua, che un domani erodendo il terreno di natura franosa potrebbe far sprofondare le case nell'acqua". Lei che, al contrario di tutti i sapientoni che si sono succeduti, ha sempre dato ascolto agli abitanti di quei luoghi che capivano che i lamenti e i boati della montagna, le piccole frane e le scosse continue erano presagio di un unico, inevitabile epilogo, non risparmia nemmeno la maschilistica stirpe di giornalisti al soldo dei potenti che da sempre hanno taciuto la verità per compiacere i danarosi benefattori e che si sono occupati del Vajont solamente quando non c'era più altro da dire se non il numero delle vittime: quasi duemila.

Fonti alla mano Tina Merlin enuncia tutti i numeri della tragedia e la maggior parte sono tanto impressionanti da far venire le vertigini, come il solo pensare di abitare su uno strapiombo a solo 54 metri sopra un lago di 150.000.000 di metri cubi d'acqua, poiché era lì che sorgeva Erto. Leggendo certe cifre ti viene da pensare "ma come hanno potuto anche solo ipotizzare che fosse fattibile una cosa del genere?", ma loro non solo lo hanno immaginato, ma lo hanno addirittura messo in pratica in barba alla popolazione, alla civiltà, all'umanità, al buon senso e in barba alla natura stessa che volevano piegare a loro piacimento sulla pelle viva di chi fra quei monti chiedeva solo di vivere.

Sarah S.

Tina Merlin
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