Il profumo del cardamomo (di Claudia Brigida Speggiorin)

IL PROFUMO DEL CARDAMOMO  (tratto da "Marianeve")

Un vento carico di salsedine spirava furioso dal mare e Mirko camminava sulla spiaggia, infagottato in un pullover troppo leggero per riparare dal freddo, intanto onde grigie e schiumose si abbattevano sulla riva con schianti poco rassicuranti. Che idea insensata aveva avuto sua moglie: andare al mare in pieno dicembre sperando di ossigenare un matrimonio ormai asfissiato dalle incomprensioni. Certo, se la destinazione fosse stata una località tropicale qualche speranza poteva pure esserci, ma lei si era fissata di visitare un piccolo paese marino disabitato anche in estate, figuriamoci in inverno.

Le fissazioni di Elisa, quelle erano il vero problema della loro relazione. Negli anni si era rivelata sempre più capricciosa ed esigente, sempre meno tollerante e meno comprensiva, per non parlare poi dei malumori risentiti, delle continue lamentele, dei rimproveri seccati o delle recriminazioni biasimanti con cui lo condannava a diventare inadeguato anche quando non lo era. Era divenuta fredda, come l'aria pesante di quella livida giornata, seppur stranamente appiccicosa poiché lo perseguitava con ansie o aspettative che lo ponevano, immancabilmente, nella condizione di sentirsi manchevole e, tanto più lui non sembrava all'altezza del ruolo di marito e padre, quanto più lei lo soffocava di ulteriori richieste inevase. Piccole cose di vita quotidiana, tipo una presenza più normativa coi figli, una maggior attenzione alla manutenzione della casa e poi le visite domenicali ai grandi magazzini e l'erba tagliata male e la suocera da accompagnare al cimitero e la lavastoviglie troppo piena e i colloqui con gli insegnanti e la dieta per il colesterolo troppo alto e la palestra per far scendere la pancia... insomma, gesti ordinari di una normale routine che lui pacifico avrebbe svolto se solo lei non glieli avesse restituiti come atti della propria mancanza.

Aveva cautamente preso le distanze e, infatti, lui stava girovagando da solo su una spiaggia desolata dove non c'era nemmeno un bar in cui prendere una birra mentre lei, barricata nella stanza dell'unica pensione aperta, poteva passarsi lo smalto sulle unghie parlando al telefono con sua sorella. Mirko rimpiangeva di non aver indossato il cappotto.

«Non fa freddo» gli aveva assicurato lei «Non senti com'è mite il clima?»

Per un arcano motivo continuava a darle retta anche quando il buonsenso gli diceva di non farlo. Era dello stesso umore del mare, con l'unica differenza che, come al solito, non poteva sfogarsi. Stava rovistando nel disordine della memoria per radunare ricordi sereni ma non riusciva proprio a trovarne di recenti, essi erano spaiati come i calzini nel suo cassetto, imprescindibile causa di furibonde scenate cui lui rispondeva abbassando la testa. Non erano più una coppia, neppure nei pensieri. Stava elucubrando un piano per sopravvivere alla desolante prospettiva dei giorni successivi quando avvertì una scia dolce e piccante miscelarsi all'aria salmastra, con delicati spruzzi evanescenti. Sollevò lo sguardo dall'orizzonte pensoso in cui lo aveva inabissato e notò un piccolo capanno, forse un chiosco, pertanto si avvicinò alla finestra semiaperta, spinto dal profumo e dalla voglia di cacciare la solitudine persistente. Più che un locale pubblico, quel luogo sembrava ospitare un'attività domestica appena interrotta e compiuta attorno a un tavolo verde malva. Sullo sgabello vuoto, infatti, un mortaio riccamente decorato pareva attendere mani femminili, mentre le antiche madie, sospese in un tempo intagliato d'Oriente, giacevano aperte a ridosso di rustiche pareti, lasciando indovinare ampolle sature di polveri variopinte. Regnava una penombra velata di trame malinconiche, carica di una nebbia odorosa, fitta di un silenzio quasi musicale. Lo sguardo verde di Mirko si posava sugli oggetti come una carezza lieve o teneramente sorpresa, poiché quel luogo gli rivelava un segreto vagamente familiare, seppur dimenticato. Sul fondo ombroso si dischiuse una porta scrostata da cui uscì una giovane donna, ambrata come un sole esotico all'alba e avvolta in una stola da cui emergeva la schiena nuda e inanellata. Pareva assorta in un nuvolo di pensieri lontani, il che le conferiva una particolare espressione di dolce tristezza. Mirko si rintanò per osservarla senza essere notato; lei si accomodò sullo sgabello, rivolgendo le spalle alla finestra, posò il mortaio sulle cosce e incominciò a pestare piccoli grani profumati. La schiena bruna seguiva gli impulsi delle braccia e pareva cavalcare un'onda che, dalle natiche, scorreva fino alla cervicale. Le vertebre si sollevavano a una a una, disegnando una linea concava proprio là, dove le scapole si aprivano come piccole ali nere. Non riusciva a distogliere lo sguardo dall'ondulatorio movimento bruno della schiena; così soda, liscia, flessibile e perfettamente allineata al suo istinto. Si estendeva verso l'alto per poi riappoggiarsi sui glutei sodi come meloni, ben piantati sullo sgabello, talmente compatti da fargli avvertire il desiderio di afferrarli nelle mani per divaricarli. La donna continuava a spingere il pestello nel mortaio e, al gesto, accompagnava brevi gemiti con cui esprimeva una sorta di piacere soffuso, come se la compressione seducesse le carni sottostanti con pensieri inebrianti. Mirko era ammaliato, voleva godere di quella vista il più possibile, voleva riempirsi gli occhi con l'immagine sensuale di quella schiena per cancellare dalla memoria le schiene di tutte le altre donne, compresa quella di sua moglie. Voleva disimparare forme anatomiche diverse e apprendere solo ciò che i suoi occhi in quel momento ammiravano. Continuava a spogliare la donna bruna con l'immaginazione e il drappo sgargiante sembrò obbedire scivolando leggermente. Avrebbe voluto strapparglielo per poi accarezzarle la pelle, scendere con i polpastrelli lungo la colonna vertebrale, affondare le narici nella folta chioma raccolta sulla nuca e intanto baciarle il collo, assaporarla, cingerle dal dietro il seno con le braccia e aderire col petto alle profonde oscillazioni per setacciare tutte le sensazioni del piacere. Il desiderio era già divenuto carne morbida e delicata nelle coppe delle mani e a lui pareva di stringerla, mentre il profumo caldo di spezie era ormai sapore di pelle e di baci. Poi, in lontananza, percepiva echi di ansimi trattenuti in un'attesa carica di brividi e già il sangue tambureggiava nelle viscere, in una miscela di emozioni tra paura e attrazione, mistero e seduzione.


Ci fu un rumore e la donna bruna si voltò. Aveva occhi imbevuti di uno strano turbamento, come se la luce di un pensiero proibito si fosse infranta nell'ombra dell'intimità violata. Mirko si scostò svelto e tornò in albergo senza voltarsi. Voleva fuggire, scappare, tornare indietro nel tempo e riscrivere una direzione diversa agli ultimi passi o, forse, al cammino di tutta una vita ma un'eccitazione prepotente continuava a crescere nei jeans, facendogli male. Tentava di distrarsi spostando l'attenzione dal proprio corpo alle onde del mare, tuttavia l'immagine della donna bruna si replicava tra le fantasie represse da una quotidianità misera e frustrante. Stava infatti pensando al progetto di vita imposto a se stesso quindici anni prima: realizzarsi professionalmente, sposare una donna adeguata al ruolo di moglie, darle dei figli e mantenere dignitosamente la famiglia. Aveva raggiunto, come ogni uomo rispettabile, tutti gli obiettivi prefissati, senza colpevolizzarsi troppo per qualche scappatella extraconiugale di scarso valore, eppure quella donna adeguata al ruolo di moglie, continuava a mostrarsi ingrata e insoddisfatta.

Ripensò al primo bacio scambiato con Elisa.

Lui l'aveva riaccompagnata a casa e, quando restarono soli in macchina, colse l'occasione per accostare la propria bocca alla sua. Aveva provato una strana sensazione di fastidio, una sorta d'irritazione che lo aveva indotto a ritrarsi ancor prima di consumare l'intensità del momento; tuttavia lei si era mostrata contenta o forse stupita, in ogni caso il giorno dopo lo richiamò così incominciarono a frequentarsi e a baciarsi sempre più spesso. Piano piano si abituò a quella spigolosa percezione o, senza accorgersene, la cacciò da qualche parte pur di non sentirla poiché lei si mostrava premurosa e gentile. Solo nel giorno del loro matrimonio riemerse senza preavviso: tutti gli amici gridarono "ba-cio, ba-cio" lui allora le prese il volto tra le mani, quel volto di donna ormai sicura di essersi sistemata e tentennò per un breve istante. La piega degli occhi di Elisa divenne stretta e aguzza, carica di una mortificazione vendicativa, così allungò il collo sottile e posò le labbra alle labbra di lui, ostentando un entusiasmo eccessivo e fuori luogo. Pur sentendo quel fondo nauseante e ruvido, Mirko la baciò a lungo pur d'ingoiare davanti a tutti quell'insensato rigurgito, lei allora sfoderò un sorriso fantastico e a lui parve di essere un uomo felice. Ecco com'era iniziata la loro vita coniugale: un'illusione.

Procedeva a passi svelti verso l'albergo, gonfio di una brama che continuava a crescere tra fantasie brune e l'impellente bisogno di sentirsi riconosciuto da sua moglie, un'inquieta potenza che gli tormentava le viscere per risvegliare il maschio assopito dentro sé. Quando arrivò in albergo, Elisa stava facendo la doccia e la cabina trasparente ne lasciava intravvedere la sagoma di spalle, tuttavia lui continuava a vedere la schiena della donna bruna. Aveva un qualcosa nello sguardo simile a una voglia irrefrenabile di sesso e la moglie, compiaciuta, se ne accorse. La prese lì, nella doccia della camera, e diede sfogo al suo impulso senza badare a tenerezze, senza preliminari, semplicemente aprendo una fessura nei pantaloni. Tutta la dolcezza suscitata dalla donna bruna era ora eclissata da una massa oscura di inquietante tormento. Nel rabbioso bisogno di possedere sua moglie eludeva la mancanza di un ruolo da maschio che, lui, non aveva mai avuto; provava, infatti, l'urgenza di riprendere subito il controllo del proprio progetto di vita, di rimarcarlo e di sottolinearlo, sfogando proprio quell'istinto in esso rinnegato. Prevaricazione e dominio, ecco cosa lo spingeva tanto smaniosamente dentro sua moglie. Elisa, china in avanti, nuda e gocciolante, incassò i colpi del marito fino a quando non lo sentì godere soddisfatto, persuasa forse dalla convinzione che la vacanza avesse sortito l'effetto desiderato. Guardò Mirko sprofondare sul letto e notò ancora nel suo sguardo quella voglia irrefrenabile di sesso; un qualcosa di torbido la stava eccitando, così raccolse nel palmo umido quel luogo maschile in cui il bisogno non si era ancora esaurito. Era caldo e brulicante di vita, bastò una lieve pressione per trovare, sotto le braci della passione appena consumata, le scintille di un fuoco a lei sconosciuto che volle riaccendere. Ogni donna riconosce il calore del proprio focolare, sa attizzarlo e soffocarlo, sa identificare quale materia ne alimenta le fiamme e, come ogni donna, anche Elisa sapeva che una fantasia erotica, altra da lei, stava divampando nei tremori di Mirko. Si lasciò possedere dal pensiero piccante di dare carne alla sostanza immaginata dal marito e le sue mani divennero curiose, abili a stuzzicare un piacere tutto nuovo nel corpo di entrambi, esperte nel comprimere quel tanto da provocare soffi estasiati, dolci nell'accarezzare ma decise nel prendere. Guardava la crescente soddisfazione di Mirko, l'uomo da cui aveva avuto due figli, e se ne sentiva appagata, ispirata, compiaciuta, gratificata, sedotta, corrotta, manipolata. Una potenza maschile del tutto nuova lievitava tra le sue mani e volle assaggiarla, gustarla, leccarla, prima lentamente per ingolosirsene e poi con avidità per saziarsi del suo sapore.

«Succhiamelo!» le ordinò lui con tono più autoritario che richiedente e lei, si sottomise unicamente per esercitare il proprio potere femminile. Elisa accostò le labbra alla pelle liscia e aspirò fino ad attirare l'apice del piacere alla bocca, poi si schiusero e tirò sempre più forte; era invasa da un sapore ferruginoso e attraente, fosco e lucente. Mirko avvertì un inaudito impeto ad alzarsi, sua moglie era ora in ginocchio e lo specchio dell'armadio rifletteva una schiena bruna, liscia e inanellata, leggermente adagiata su glutei tondi e polposi e lui poteva guardarsi mentre afferrava e spingeva la testa della donna orientale, inginocchiata a suoi piedi unicamente per soddisfarlo di piacere. S'inoltrava in morbide labbra carnose, rosse di seta, tremanti d'imprevedibili suzioni, tenere e golose, audacemente timide ma, soprattutto, pazienti e capaci di domare il ritmico godimento ormai pronto a esplodere. Elisa procedeva rapita da un dondolio incalzante, da un'innocenza lussuriosa che la spingeva in avanti e indietro; era sulla cresta di quell'onda maschile e tanto la cavalcò fino a farla giungere a frangimento. Si stava saziando di un sapore acre e invadente, gustoso, così diverso da quello conosciuto ma vagamente familiare, seppur dimenticato. Mirko le stringeva la chioma, non più bionda ma corvina e raccolta alla base della nuca con un'orchidea. Entrambi ansimavano, entrambi si domandavano dov'erano stati. Uno strano senso di estraneità li aveva resi audaci amanti.

«Cosa ti sta succedendo Mirko?» chiese Elisa ammiccando maliziosamente.

«Mah, cosa sta succedendo a te; sarà l'aria invernale del mare. Vestiti e andiamo a cercare un ristorante per mangiare qualcosa, ho una fame da lupi.»

Così marito e moglie uscirono per cercare un posto in cui cenare. Entrambi erano assorti o, forse, imbarazzati; un qualcosa lasciato sullo sfondo del loro rapporto stava ora avanzando per convocarli. Le strade erano deserte ma, ai confini del paese, doveva esserci un buon ristorantino o almeno, così aveva detto il proprietario della pensione e infatti, in lontananza, videro fasci di luce incendiare la notte. Si avvicinarono quel quanto per intuire nell'ombra la forma e i colori tipici di un bazar orientale, ricco di drappi e di musica tintinnante. Mirko sentì nuovamente un sentore speziato miscelarsi all'aria salmastra: un odore ricco e leggermente acidulo che sbocciava nella parte alta del naso. L'immagine della donna bruna riaffiorò prepotente tra le pieghe intime dei suoi calzoni, lasciandolo in preda a una voglia straniera che di sicuro sua moglie avrebbe presto intuito se non avesse escogitato a breve un piano per offuscarla, perciò continuò a camminare recitando un'espressione delusa e farfugliando scuse senza senso pur di calpestare le brune fantasie e rificcarle nella melma di pregiudizi in comune alla moglie. La straniera era ora l'avversaria ed Elisa l'unica alleata.

«Oh Mirko, non rovinare tutto come al solito, è l'unico locale aperto. Quando torniamo a casa ti faccio il polpettone di tonno.»

Elisa, muovendo passi a ritmo di cimbali, trascinò il marito all'interno del variopinto locale in cui vennero accolti da un'anziana donna indiana, vestita con abiti tradizionali. Mirko perlustrò attento la sala ma notando altri due soli uomini indaffarati a servire i pochi clienti, si accomodò e passò in rassegna il menu con un compiacimento tornato duro tra le gambe. Desiderava assaggiare il sapore di quel misterioso profumo e riempirsene la bocca, voleva ingoiarlo e sentirlo espandersi nel palato per immaginare l'aroma della pelle bruna, così scelse diversi piatti, di cui ignorava la pronuncia, confidando nel proprio istinto e, intanto, sfiorava col piede la caviglia della moglie. Era deciso a spaziare tra i sapori intensi proposti dalla cucina e anche Elisa sembrava ben disposta a sgarrare dalle solite limitazioni dietetiche, insomma c'erano tutti i presupposti per trascorrere una serata divertente e godereccia. Mangiarono antipasti squisiti e salse piccanti dal vago sapore afrodisiaco; i gusti esplodevano in bocca con piccoli boati di piacere ed entrambi li assaporarono con una strana voracità, tracannando vino indiano e acqua di cocco. Ordinarono altre specialità dense di fragranze sconosciute che, permanendo a lungo sul fondo della gola, si miscelavano in aromi contrastanti per poi espandersi fino alla parte alta della testa, unitamente ai vapori alcoolici. Era un cibo corposo ed elaborato, carico di fuoco e di sole che, pur saziando, lasciava un sofisticato languore di sottofondo, come una strana e insaziabile ingordigia, infatti Mirko aspettava ansiosamente l'ultima portata, pregustandone il sapore inebriante. L'anziana signora si posizionò di fianco al tavolo e richiamò l'attenzione dei commensali, percuotendo due piccoli cimbali scintillanti.

«Scusate l'interruzione, il signore ha ordinato Chandana, la specialità della casa, spero che gradiate tutti la presentazione del nostro piatto.»

Una musica ipnotica riempì il locale di suggestiva sospensione mentre, da un ingresso ornato di stoffe luccicanti, spuntò una donna, procedendo con passi ondulati, avvolta in veli rossi trattenuti con le mani sopra il capo. Si fermò in uno spazio che per Mirko era il centro del mondo, lasciò cadere le organze e svelò un giovane corpo avvolto in un drappo celeste, da cui emergeva una schiena nuda e inanellata. Mirko trasalì, la donna bruna appariva ancora più luminosa e sensuale del pomeriggio. Muoveva la schiena come un serpente, lasciando fluire nei muscoli un calmo ripetersi di onde, intanto pestava piccoli grani aromatici nel mortaio. Ruotò sui talloni nello stesso istante in cui il cameriere posizionò sul tavolo un ricco piatto, contenente pietanze di svariate tonalità: dal giallo zafferano all'oro della curcuma, dall'ocra del curry alla terra di Siena del garam masala e poi, l'arancio del tandoori e la tonalità calda della noce moscata e le sfumature castane della cannella. La donna bruna sollevò il viso, guardò Mirko con grandi occhi obliqui, così ben truccati e così oscuri da inghiottirlo come una notte. Procedette verso di lui, sorreggendo il mortaio nel centro dei palmi sovrapposti e allineando passi increspati, talmente leggeri da non lasciare orme. Mirko era pietrificato mentre Elisa, estasiata dalla coreografia, lo rimproverò.

«Sei sempre il solito insensibile» ma la sua voce si dissolse in lontananza e lui parve non accorgersene. La donna bruna diffuse una polvere profumata sul piatto, poi si congedò augurando a entrambi un gustoso appetito. Posò, solo per un istante, lo sguardo nello sguardo di Mirko e lui capì di essere stato riconosciuto. Si dileguò in un raffinato batter di ciglio e, nuovamente, una fantasia sensuale stuzzicò l'appetito di coppia ma, marito e moglie, seppero saziarlo di complicità allusiva, tra un boccone offerto e lenti morsi per degustarlo. Elisa, era di nuovo la più eccitante delle amanti ma, soprattutto, lo importunava con taciti gesti di un sottinteso piacere. Le sue richieste erano ora intriganti tentazioni e lui poteva di nuovo sentirsi risucchiato in labbra calde e sconosciute, unicamente appagate dal procurargli piacere. Comprimeva tra le gambe le dimensioni della sua voglia e la sfregava, poiché Elisa deglutiva chiudendo gli occhi, per poi riaprirli sazi ma ancor più golosi. Erano bagnati di luce straniera e a lui, nel guardarli, traboccò una goccia di succo. Tornarono nella stanza ubriachi di profumi e di vino e caddero nel sonno come due corpi morti. L'indomani erano entrambi di buon umore, ciò nonostante Elisa reclamava ammiccando del tempo per sé, così Mirko colse l'occasione per precipitarsi al chiosco. Voleva nuovamente eccitarsi guardando la donna bruna per poi consumare il sesso con la moglie, voleva infuocarsi per incenerire l'uomo e far ardere il maschio nel letto coniugale, voleva acquisire potenza erotica dalla fantasia per debellare l'impotenza quotidiana del proprio progetto di vita. Si accostò alla finestra e lei stava già pestando i granelli preziosi.

«Perché te ne sei andato via ieri? Entra» la donna gli stava parlando con voce sottile e accento straniero. Lo aveva dunque visto il pomeriggio precedente e quindi riconosciuto al ristorante, forse in quel momento lo stava aspettando poiché lo invitava a entrare. Mirko scivolò nella porta quasi senza intenzione, come attratto da una forza più grande, mentre lei si spalmava sulle braccia nude la polvere profumata contenuta nel mortaio, la stessa polvere da lui mangiata la sera passata. Un qualcosa di incandescente tornò a infuocare le vene dell'uomo, il suo sangue affamato spalancava gole smaniose di assaggiare la pelle bruna, così ben disposta a offrirsi senza indugio. Poteva essere una strega o una puttana, a lui parve l'unica donna desiderata. Le slacciò il drappo trattenuto sul collo come fosse l'unico gesto possibile e lei svelò una vellutata nudità, i seni sferici e duri come due noci di cocco, la vita sottile adornata da minuti sonagli argentei, i fianchi tondi e contenuti in perfetta continuità con le cosce turgide e poi rotule graziose e caviglie tatuate e fragili piedi spogli di orme.

«Cospargimi di cardamomo, Chandana sono io.»

Aveva il volto serio, di una dolcezza disarmante, tenero e aggressivo al tempo stesso e occhi pericolosamente innocenti. Mirko vi cadde dentro e, per uscirne, dovette abitarli. Intinse le dita nel mortaio e gliele infilò in bocca e, subito dopo, le portò nella propria, le intinse di nuovo per strofinargliele sulla polpa rosea delle labbra, schiudendole poi con la lingua. Cercava le sue papille gustative, ogni singolo recettore del sapore, cercava il luogo dove fiorivano parole di un linguaggio straniero per apprenderlo e farlo proprio, cercava la sua lingua e la trovò. Era morbida e reticente, tendeva a sfuggire per farsi cercare e Mirko la scovava e la precedeva, mentre il sapore del cardamomo lo rendeva particolarmente intuitivo. Mordeva la carne morbida di quelle labbra, turgide e dolci come le ciliegie nel giorno di S. Giovanni e lasciava mordersi le proprie, più spigolose e secche. Intinse le dita nel mortaio e le passò sul collo esile e remissivo, scese lungo il seno e risalì poi sui capezzoli, bruni e piccini come chicchi di caffè. Vi passò sopra la lingua, li morse e li succhiò mentre divaricava i glutei marmorei. Le piccole mani di lei slacciavano i pantaloni e toglievano gli indumenti, golose di quel maschio occidentale che non aveva mai sentito il profumo del cardamomo. Procedevano lungo il torace, sulle spalle, nel viso, dentro la bocca, dietro le orecchie e continuavano ad avanzare, scovando pertugi sensibili risuonanti in angoli remoti di cui Mirko ignorava l'esistenza.

Da dove sorgeva quel piacere? Era la musica di un'inedita partitura, scritta da qualche dio nelle sue viscere e, intanto, Chandana ondeggiava sul suo corpo con movimenti dolci e invitanti, sfiorandone il torace con i capezzoli duri. Sollevava le braccia e voltava i polsi in una danza talmente sensuale e profumata da evocare corolle fiorite dischiuse al sole, dense di pollini, succose di un miele mai assaggiato, da lui ora preteso come diritto inalienabile del suo essere maschio. Mosse passi vellutati da felino intorno alla preda e lo sguardo divenne lungo, mentre Chandana roteava in un vortice nebuloso poi le braccò i fianchi e, con una spinta, lei si aggrappò con le gambe ai reni di lui. Si tratteneva salda con la forza delle cosce, mentre il busto si dimenava ancora in sentieri alati inesplorati.

Mirko sentiva il sangue di tutto il suo corpo confluire nei corpi cavernosi della propria potenza, poteva percepirne le vene pulsanti e intenderne la saturazione ma le piccole labbra di lei erano ancora chiuse come un bocciolo. La tenne stretta a sé per baciarne il contorno setoso del viso e delle spalle, fino a domare l'ultima riottosa onda della schiena e renderla la sua docile femmina bruna da coccolare sui tappeti. Intinse il palmo nel mortaio per colmarlo di cardamomo e lo passò sul monte di Venere con delicatezza, recitando una poesia d'amore dimenticata. Scese poi col polpastrello, divaricando i segreti raccolti nell'umido calice, fino a trovare la perla della clitoride e la fece tintinnare, impregnandola di spezie. Chandana sbarrò gli occhi e incominciò ad ansimare, mentre i petali del suo piccolo fiore si dilatarono, rivelando una moltitudine di piccanti sapori d'Oriente. Traboccò una rugiada lattiginosa e Mirko la volle assaggiare. Affondò la mano in quella carne tenera e bagnata per poi sfregarla sulla faccia di Chandana e intanto la leccava, la mordeva e si gonfiava di uno sconosciuto gusto aromatico. Di nuovo lei sgusciò e, una volta in piedi, di nuovo si aggrappò ai reni di lui, portando le braccia al collo, la bocca alla sua bocca. Mirko si affrettò a varcare il confine ed essendo chiuso, lo fece piano ma fino in fondo. Percepiva le vibrazioni più intime di quel luogo selvaggio e i dolci tumulti con cui lei lo incoraggiava ad addentrarsi. Era al centro di terre calde e soleggiate e poteva abitarle non più da straniero ma come esploratore, scalava pareti scoscese e s'immergeva in torrenti vergini mentre il viso bruno cedeva all'indietro, luminoso di piacere.

Chandana roteava le natiche vigorose, spingeva e premeva con forza, si contorceva, oscillava per poi fermarsi, poiché non era ancora sazia e allora Mirko cercava la sua bocca per baciarla ma lei era già pronta a volare di nuovo, imprimendo forza alla morsa per spingere e premere e contorcersi e oscillare. La donna lo tormentava con improvvise sospensioni, dense di sguardi terribilmente dolci e lontani, poi Mirko avvertì una scossa profonda, ricca di sensazioni prepotenti, così le afferrò strette le spalle e spinse con una tale foga da detonare entrambi con un coro di spasmi e di convulsioni ingovernabili. Si tennero abbracciati per un tempo incalcolabile, forse un istante o forse una vita intera. Erano raggomitolati l'uno dentro l'altra, a riposo, e Mirko non si stancava di affondare il naso nella guancia profumata di Chandana, mentre ne sorreggeva il corpo ormai docile e addomesticato. La cullava sul petto, con una tenerezza preziosa e selvatica, dondolando sulle note di un'antica nenia da lei sommessamente intonata, poi lei parve addormentarsi come un cucciolo protetto e lui poté sorvegliarne i sogni, sfiorandone le palpebre chiuse. La donna bruna lo baciò un'ultima volta, indossò il drappo e tornò a pestare piccoli grani di cardamomo nel mortaio.

«Adesso vattene, tra poco arriva mia madre».

Erano tornati improvvisamente stranieri, Mirko si rivestì in fretta e uscì di malavoglia. Desiderava accarezzarla per il resto della sua vita, desiderava tenerla tra le braccia ancora un po'. Camminò senza direzione sulla spiaggia desolata, ascoltando gli schianti del mare intrecciarsi a mugolii malinconici, mentre il profumo del cardamomo gli strappava l'olfatto con dolorosi ritorni e improvvise mancanze. Si accorse che era già mezzogiorno, Elisa lo aspettava.

Elisa. Di sicuro gli avrebbe messo il broncio per il ritardo, trovando però qualcosa di alternativo su cui ridire o lamentarsi, spostando come al solito i problemi su un piano pratico, come se le difficoltà di convivenza fossero causate da una camicia lasciata in disordine anziché dal logorio delle incomprensioni. O forse, peggio ancora, stava aspettando un altro pomeriggio di fuoco. Sinceramente non ne aveva proprio voglia, preferiva di gran lunga la stanca consuetudine al vano tentativo di cambiarla. Invece lei lo accolse sorridente, proponendogli una gita fuori porta e una cenetta in un ristorante di cucina locale nell'entroterra. A Mirko parve un'idea geniale, per una volta tanto lui ed Elisa erano in accordo. La giornata trascorse tranquilla e, per certi versi, allietata da aneddoti divertenti, ma la notte Mirko non riusciva a prendere sonno. Pensava a Chandana, il desiderio aveva ora un corpo ben preciso che gli mancava. Aveva una pelle incommutabile, un profumo inconfondibile, un contatto fisico inimmaginato e un sapore inesprimibile, talmente piacevole da imporsi come unico gusto desiderabile. L'indomani corse al chiostro; voleva vederla, baciarla, consumarla, stringerla, palparla, morderla, assaggiarla, prenderla e farla di nuovo sua ma, al suo interno, l'anziana donna incontrata al ristorante stava ramazzando per terra. Le madie erano vuote, il tavolo sgombro, lo sgabello disabitato, il mortaio assente, le mura svuotate di profumo, nessuna schiena a ondulargli i pensieri. La madre di Chandana lo salutò calorosamente con un ampio inchino a mani congiunte.

«Avete mangiato bene Lei e la sua Signora l'altra sera?»

«Davvero tutto squisito» Mirko cercava Chandana ma non osava chiedere dove fosse, poi fu lei a continuare il discorso.

«Sta facendo una passeggiata?»

«Sì, a dire il vero stavo cercando un bar per fare colazione.»

«Temo di doverla deludere, questo è il capanno in cui la mia Chandana ha pestato le spezie della dote. La settimana prossima si sposa con un ricco signore di Kathmandu che gli ha messo gli occhi addosso quando aveva otto anni. Io, però, mi sono imposta, gli ho detto che non l'avrebbe sposata prima del suo ventesimo compleanno. È partita ieri sera con i suoi fratelli maggiori, fra un paio di giorni li raggiungo anch'io.» La donna parlava con commozione e felicità poi, tutto d'un tratto, parve ricordarsi di un piccolo pacchettino.

«Ah, mia figlia mi ha detto di darle questo se tornava al ristorante, posso approfittarne ora? Un piccolo omaggio perché Lei è un uomo molto fortunato, è stato l'ultimo cliente ad ordinare Chandana. Cosa potrò inventarmi ora per presentare la specialità della casa?» Mirko prese il pacchetto, guardò con occhi vuoti l'alcova abbandonata e si congedò con gentilezza, poiché la donna non pareva attendere risposte. Camminò lungo la spiaggia per diverso tempo, era colpito da un'imprevista solitudine martellante nello stomaco e avvertiva un malessere incarnato nelle viscere. I muscoli inerti si contorcevano in spasmi ricalcanti gli atti d'amore compiuti il giorno precedente, dolendogli terribilmente, come se tutte le carezze date e ricevute si fossero trasformate in percosse feroci. Si sdraiò su un fianco e aprì la stoffa, conteneva tre piccoli baccelli verdi. Ne scartò uno con cura, incidendolo lentamente con l'unghia affinché il profumo del cardamomo fuoriuscisse come un segreto rivelato a lui soltanto, lo aspirò con tutti i sensi e poi guardò le onde del mare, che si abbattevano modificando la riva per poi tornare al largo di un mistero.

«Tesoro, ma cosa fai sdraiato? Non siamo mica in estate e poi guarda, stai sporcando tutto il cappotto, tanto poi chi lo deve spazzolare sono io, mica tu» Elisa lo stava raggiungendo, indaffarata in un'atletica corsa sulla riva.

«Cos'hai in mano?» Mirko guardò i tre semi e li ripose nella stoffa sottile, per custodirli.

«Pensa, ho incontrato la signora del ristorante e mi ha dato questi semi come porta fortuna» poi stuzzicò con un solletico scherzoso la vita della moglie «stai attenta, mi ha detto che è un potente afrodisiaco.»

Marito e moglie si guardarono con aria triste; quanti anni avevano aspettato affinché Psiche ed Eros s'incarnassero nei propri corpi?

«Elisa, ti va di passeggiare insieme sulla riva? Ho voglia di stare un po' con te.» Elisa sembrava già pronta a riprendere l'attività fisica, interrotta dall'incontro accidentale col marito, poi forse ci ripensò. Sfilò scarpe e calzettoni per immergere i piedi nell'acqua gelida ma si ritirò prontamente, saltellando come una bambina felice.

«Ti ricordi quando siamo andati a Ibiza? Non potevo fare il bagno da sola da quanto eri geloso.»

«Guarda che lo sono ancora, sai.»

Così marito e moglie continuarono a passeggiare sulla riva, radunando nei cassetti della memoria ricordi sereni. Mirko teneva stretti i semi di cardamomo in una mano e, nell'altra, le dita di Elisa.

Chandana intanto sorvolava spesse atmosfere, nebulose di destino e foriere di un progetto di vita impostato a sua insaputa; un uomo sconosciuto la stava infatti aspettando per farne una sposa ignara ma lei, il suo straniero, lo aveva già incontrato, e a lui, soltanto a lui, aveva scelto di donare il profumo del cardamomo.

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