La bella Riace di Roberto Lucano - di Claudia Brigida Speggiorin


...Intra ogni vita nu sognu, intra ogni sognu nu mari....*


Riace sembra un presepio dismesso, è di una bellezza che fa male nel vuoto che è rimasto dietro le vetrine delle botteghe disabitate. Rimangono le tracce di un'opera creativa, conservate sui muri del borgo antico come reperti di un'accoglienza che non ha più dimora e nei portali che segnano l'ingresso a quartieri di un'integrazione ormai fantasma. Rimangono le imposte serrate della scuola elementare e della farmacia, case vuote in vendita, le fioriere a forma di barca senza più fiori, i bagni pubblici per turisti chiusi al servizio e splendida gente ospitale che saluta i forestieri per strada dicendo ciao, ma dando del Voi se capita di scambiare due chiacchiere.

Rimangono resti recenti e una memoria antica.


Ho amato la Riace di Mimmo Lucano e tutte le piccole Riace che sopravvivono all'ombra di questa grande Rinnegata, ma ancor di più ho amato la bella Riace di Roberto Lucano, suo padre, inattesa amico che mi ha insegnato il valore della diversità raccontandomi la tradizione. Le parole degli anziani aprono fessure sul tempo e scartano i ricordi ad uno ad uno, come doni di Natale.

Tutto diventa prezioso negli affetti di una vita.

Ha occhi belli, Roberto, che tornano giovani quando volgono al passato. 93 anni, tre figli, cinque fratelli e quattro sorelle. La più grande è morta a 99 anni. Come tanti riacesi, anche lei si era trasferita a Buenos Aires, quando gli immigrati in terra straniera eravamo noi.

È il nostro ultimo appuntamento, al bar della piazza del Popolo, sotto la palma. Questa sera parto. Mi indica i luoghi con un dito e, intanto, mi narra la storia custodita nei muri; dal castello degli Alvaro al municipio costruito nel '36, dalla scuola elementare in cui ha insegnato per 40 anni al Rione Milano, ala più recente del paese, dal nuovo anfiteatro per gli eventi pubblici al precedente dirupo su cui è stato edificato, dal santuario alla festa di San Cosimo e San Damiano, festeggiata anche a Buenos Aires dai riacesi emigrati. E poi dalle terre alla riforma agraria del '53, dalla Locanda di Donna Rosa ormai chiusa a Donna Rosa di Siderno che andava al golfo di Napoli a prendere le stoffe e poi le vendeva. A Riace imbandiva un banchetto sotto la casa del prete e il banditore ne annunciava l'arrivo Andate al su Domenico ca vinna Donna Rosa. E poi, c' era la Porta dell'acqua, il luogo dell'amore platonico, così come lui lo definisce. "Hai presente Venezia che ha il ponte dei sospiri, ecco, noi a Riace avevamo il Muro dei sospiri" sorride il mio amico Roberto, ripensando alle ragazze che sfilavano con le brocche in testa fino alla fontana, mentre i ragazzi le corteggiavano sospirando appoggiati al muro." Qualcuna" racconta "faceva gradita sorpresa tornando una seconda volta". Lui guardava Rosa, ma poi un giorno anche lei emigrò con la famiglia a Buenos Aires e la rivide solo nel '91, dopo mezzo secolo, quando congedatosi dall'insegnamento andò a trovare la sorella maggiore nella capitale dell'Argentina.

 "Ma l'Amore, quello di una vita felice, l'ho trovato studiando latino. Galeotto fu 'l libro e chi lo scrisse: quel giorno più non vi leggemmo avante. Conosci Dante?" e, intanto, mi mostra la foto di una bellissima MariaAssunta, viso minuto e serio, dalla pelle bianchissima, accanto a un giovane e affascinante marito. Avevano frequentato insieme le elementari e poi, finita la guerra, Roberto avrebbe voluto intraprendere la carriera militare, come i fratelli maggiori, ma la sorte per lui aveva in serbo trame inedite e diverse. Il padre era scomparso prematuramente, lasciando vedova una moglie ancora giovane e con tanti figli e lui, il più piccolo, poté studiare grazie alla protezione dei grandi. L'istituto Magistrale aveva sede a Locri, pertanto lo frequentò da privatista e così fu che l'insegnante di latino con cui si preparó agli esami, gli divenne cognato. "Agli orali della maturità m'interrogarono sul poeta Lucano, forse perché mi chiamavo come lui. Sai da dove arriva la parola Lucano? Da brillare, luce. Infatti antelucano è ciò che precede il sorgere del giorno." Forse Roberto non immagina tutte le connessioni di senso che si ramificano nella mia testa partendo dalla radice etimologica del suo cognome, o forse sì e, infatti, per la prima volta mi parla dell'origine del modello Riace e di suo figlio Domenico. "Nel 1998 arrivò un veliero. Erano curdi. È stato il vento a portarli. Ricordo quando Domenico li ospitò a casa. Tutto è partito da lì." È orgoglioso quando parla dei suoi figli e, rispetto a quello diventato ex sindaco senza più dimora, spende poche ma incisive parole, ricordando le persecuzioni subite degli uomini che si sono battuti per i diritti dell'essere umano... Nelson Mandela, Martin Luther King.


E mentre Roberto imbastisce la tradizione all'evoluzione, guardo il mare all'orizzonte. La linea si fa sottile e profonda al confine del cielo, di un blu che oltrepassa il tempo. E sopraggiunge un'altra voce di Calabria nel mondo, nu cantu anticu, di un altro Mimmo, di un altro impegno messo al servizio dell'uomo. Sopraggiunge come colonna sonora di una vacanza con porti aperti sulla conoscenza, dove il flusso del dare e del ricevere, del partire e dell'arrivare hanno lo stesso sciabordio di fondo di una migrazione d'amore.


*e si parti e si scappa

da sta terra brusciata

cu menzu strazzu d'ancoddu ee!

e n'attru menzu mmucciatu

e si parti e si scappa

comu meghiu si poti

cu nu pugnu i speranza

e n'attru i terra nta tasca

e tira chianu stanotti

ventu di maestrali

e danci tempu i si sarva

sta cascitta tingiuta

*Da Nu Cantu Anticu di Fiumanò Domenico Violi- illustrazione Lorenzo Fantetti

Traduzione:

E si parte e si scappa da questa terra bruciata, arsa

con mezzo staccio indosso e l'altro mezzo nascosto

e si parte e si scappa come meglio si può

con un pugno di speranza e un altro di terra nella tasca

e soffia piano stanotte

vento di maestrale

dalle il tempo di salvarsi a questa barca,

carretta dalle tinte e dal destino avverso

povera

un mezzo rottame mal messo.

Arrivederci Roberto, grazie per questo inatteso viaggio nella tua bella Riace e il cantu continua... qui il tuo testo...

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