La preghiera di Afrodite - di Claudia Brigida Speggiorin



Ho sempre un po' di nostalgia quando ti guardo riposare, come ora. Sei nudo e sudato, con la testa reclinata sul cuscino: dormi o guardi altrove? Gli spettri ricominciano a perseguitarmi quando esci così soddisfatto da me e ti ritiri sul mio lato per riconquistare i confini del tuo corpo sfogato; ecco, è proprio in questo momento che ti desidero di più, quando ti separi e mi lasci invadere dalla tua assenza, sto infatti stringendo forte le cosce e percepisco ancora il tuo passaggio, come un ricordo da trattenere. Sei nella memoria del mio corpo, come un frammento d'anima incarnato tra la solitudine e la morte, come un resto di vita che si accende tra gli echi di una neve ormai pronta a cadere. Sono fragile, lo so, lo sono sempre stata. Pezzi di me sparsi ovunque, persi, dimenticati, lasciati in giro, cancellati, inabissati; mi sono infranta sugli scogli del mondo e a te ho lasciato solo cocci e schegge. Li hai raccolti e ti sei ferito, eppur li hai amati, ricomposti con cura e assemblati in quest'incrinata forma di donna intorno al vuoto; il mio vuoto, quello che ho creato, quello che tu ora colmi per non farmi ammattire dal dolore. Ecco, succede la stessa cosa quando il tuo corpo riesce ancora a entrare nel mio, ormai così inospitale, e mi riempio di luce e trabocco di gioia. Tu dici che la luce è mia così come la gioia, poiché le vedi entrambe filtrare dalle ferite, come i raggi di sole eludono le imposte in una calda giornata d'estate, ma io non ci credo; io lo so che sei tu il mio sole, sei tu la mia gioia e io ormai tenebra, ormai notte.

Affondo un polpastrello nelle insenature segrete del mio corpo e le stuzzico per consolarle, sono imperlate del tuo odore miscelato al mio, una fragranza vischiosa di sentimenti così puliti e istinti così sani che custodisco nel mio ventre malato. Mi piace annusarlo, come quella notte a Salonicco, ricordi? Tu goloso prendesti il dito da sotto il mio naso e te lo mettesti in bocca, io mi arrabbiai e riportai la mia mano laddove gli umori erano ancora caldi e di nuovo annusai, allora tu mi rovesciasti sulla schiena e, spalancandomi le gambe, affondasti la faccia nel pertugio appena esplorato e ti saziasti della linfa ancora abbondante. Il tuo naso sfregava angolature sconosciute che, animandosi di un tremore implorante, mi soffocarono di gemiti e tu, col viso gonfio e stupito, seguivi il ritmo incalzante dei miei "ancora". La lingua divenne insistente, la bocca smaniosa e il tuo naso continuava a battere in quell'angolo furioso da cui traboccarono scosse elettriche sempre più intense. Ti stringevo la testa con le cosce madide, mentre le tue mani rincorrevano le vibrazioni sulla mia pelle per ritracciarne le direzioni, per possederne ogni sussulto. Poi, un qualcosa d'inaspettato si dilatò e, da un luogo molto lontano, contrazioni violente s'impadronirono del mio bacino fino a farmi inarcare la schiena e percuotere la tua con i pugni per incitarti a continuare, così tu seguitasti a mordere la polpa incendiata e arrivarono convulsioni di piacere. Ansimai così forte da svuotarmi di ogni respiro. Affondai la mia bocca nella tua per riprendere fiato e intanto, ridevo e piangevo; tu mi stringevi al petto e, sconvolto dalle mie violenti emozioni, pensavi di avermi fatto male invece avevi appena scoperto l'epicentro del piacere: il mio primo orgasmo non ancora maggiorenne, una notte a Salonicco, la prima volta che il tuo odore si fuse col mio. Siamo ancora insieme io e te, dopo vent'anni. Che strano, allora fare l'amore era un bisogno del corpo, oggi un desiderio dell'anima. È la nostra veglia senza urgenza, io e te, per mano, attendiamo la nostra stella senza preoccuparci del suo manifestarsi nel cielo, eppure, quando la sua scia lo solca, deformiamo il tempo e lo spazio, io e te.

Puntuali, tu dici che la mancanza di fretta ci ha insegnato a essere puntuali agli appuntamenti del destino ma io non ci credo, più semplicemente penso che la tua generosità sia più grande della mia. Ti stuzzico la bocca col dito umido di umori, mi sorridi e un qualcosa pare muoversi tra le tue gambe, come un riflesso di eros. Chissà se sotto le palpebre chiuse, anche i tuoi occhi stanno guardando il nostro primo rapporto? Sfioro ora la tua mano pesante sul mio addome, la porto alle labbra, la bacio e intanto la guardo stupita. Mi chiedo come facciano altre mani di altri uomini a usare violenza, a picchiare, a chiudersi in pugni e a pestare; sono fortunata poiché le tue mi hanno insegnato la pace, ecco perché ululano i fantasmi quando le togli da me. Tutte le mani del mondo dovrebbero avere le tue impronte digitali, tutte le pelli del mondo dovrebbero goderne. Sono lunghe, lievemente dinoccolate, magre come io non sono mai stata e forti quel tanto da contenermi nella culla delle tue carezze. Dove hai imparato ad amare così? Di certo non da me, preoccupata com'ero di essere sempre all'altezza della situazione; da chiunque tu abbia appreso, io ne sono grata poiché ogni giorno, ogni notte, ho una stella cadente cui affidare una speranza.

Domani mattina ho la visita di controllo all'ospedale, ti permetterò di accompagnarmi? Non sopporto i tuoi occhi bassi davanti al dottore, mi fanno sentire in colpa. Preferisco quando li posi sulla mia pelle e diventano lucidi come specchi, poiché in essi rivedo un'altra me stessa, così attraente e diversa dall'immagine ormai sfiorita dalla malattia, gonfia di medicine, calva di sogni. Non fare null'altro che guardarmi nel resto della vita che ci rimane. Sono egoista lo so, lo sono sempre stata, ma non posso fare a meno di riflettermi nel tuo sguardo. In esso mi conservo come una promessa mantenuta o un ideale di perfezione finalmente raggiunto e, ogni qualvolta ti accingi a penetrarmi, ritorno la tua vergine bellissima, la meravigliosa fanciulla che beve il fondo della bellezza mentre i fiori del silenzio cantano il rumore del sole. In quante poesie sopravvivo, amore mio? Quante parole hai scritto, cancellato, sudato, sanguinato, pianto, pubblicato per trovarmi un nome dentro te? Quante parole inedite giacciono nel cassetto e quante inespresse si sono inabissate oltre l'ultimo verso incompiuto, quello fatale.

Parole sorde, mute, cieche, infilate come perle nere nel filo di una rima indicibile tra morte e consorte ma tu, non smettere mai di scrivere poesie perché i tuoi occhi vedono le metafore del mondo e le allegorie che lo popolano. Tutto ciò su cui tu posi lo sguardo diventa bello, succede anche alla mia pelle, essa riappare compatta per scivolare sotto i tuoi palmi caldi, mentre la carne s'inturgidisce per colmarne la cavità avida e sottomettersi ai tuoi polpastrelli. Perché quando tu mi possiedi, mi possiedo anch'io; mi sciolgo nella tua carne, divento i tuoi pensieri, mi scompongo in una miriade di frammenti sparsi sulle tue membra e poi mi faccio liquida per scorrere col tuo sangue. Mi espando fino a disperdermi, fino a sentirmi poiché tu mi senti, a riconoscermi poiché tu mi conosci, a vedermi poiché tu mi esplori. Mi mischio con te in un qualcosa di diverso da entrambi e mi dimentico che siamo due. Ti accorgi che ti voglio perché ti stuzzico il braccio con un capezzolo duro, sorridi e intanto fai scivolare una mano dal mio addome al tuo, la seguo con la bocca curiosa fino a sentire su di te odore di noi, mentre più in giù percepisco la trama venosa della tua potenza allungarsi sul collo. Il tuo bacino scorre in avanti, spinto dalla voglia che ti muove verso le mie labbra, vuoi entrarci subito e anch'io sono golosa, ma prima voglio sentirti colmare il mio seno, voglio comprimere il tuo istinto duro tra le dune del mio desiderio e percepirne le pulsioni accanto al cuore, tra rivoli e carezze di saliva. Lo stringo e mi dondolo, fino a farti diventare lucidi gli occhi e, in essi, posso guardarmi - pelle opalescente - intenta a viziarti in una morsa, mentre la mia rotonda dedizione al tuo sesso trabocca dalle dita. Mi piace cavalcare il tuo piacere indovinando il ritmo dal respiro via via più corto, nella tua bocca affamata d'aria e nella mia, sempre più golosa d'orgasmo. Mi afferri le spalle e dirigi la danza, ora che i passi si fanno affrettati tra la morsa del seno e il succhio delle labbra e, tanto ti agiti che piovi maschio per dissetarmi. T'accasci soddisfatto ma, ti prego, non chiudere gli occhi, continua a tenerli aperti cosicché possa guardarmi come tu mi vedi. Mi stai ora sfiorando la guancia con la barba; quanto mi piace questo ispido solletico. Te l'ho mai detto che mi fa vibrare il palato in piccoli brividi concentrici diffusi in tutta la bocca? Probabilmente no, come al solito. Forse è proprio l'eco di tutte le parole d'amore mai confessate a tremarmi in bocca; prima taciute perché ero troppo sicura di averti, ora zittite dalla paura di perderti. I silenzi mi hanno divorato l'anima, cado nei crateri dei non detti e mi confondo poiché lì, ho nascosto anche il male a te fatto. Quante volte ti ho tradito affinché tu mi desiderassi di più? Mi lasciavo contagiare dall'odore di altre pelli per ferire il tuo fiuto, per lacerarti con l'impellente bisogno di avermi subito e tu mi confermavi riprendendomi con impulsiva avidità. Ti ascoltavo respirare affannato e mi sentivo il silente ossigeno che ti teneva in vita, l'erotica passione sfuggente che manteneva duro e affamato il sesso tra le tue gambe. Perdonami, non ero ancora viva allora, ti ho consacrato ai miei fantasmi e ho goduto nel lasciarti possedere da essi, potrai mai perdonarmi? Sai quando sono nata? Ti ricordi quando mi portasti a Massa a fare le cure in day hospital? Mi fecero la flebo sulla terrazza che guardava al mare e tu, subito dopo, avesti l'idea di portarmi a fare il bagno. Io mi arrabbiai e ti considerai un egoista, allora il dottore s'intromise per dirmi di affidarmi alle tue cure. Su sua indicazione aspettammo il tramonto e c'incamminammo verso la spiaggia. In quell'ora della sera il confine tra il cielo e il mare sembrava dilatarsi. il limite del buio stava inghiottendo il giorno a poco a poco, mentre gli ultimi bagliori aranciati battevano in ritirata sotto l'orizzonte basso, gonfio di crepuscolo. Le trame ombrose stavano spegnendo gli ultimi fuochi di sole, ormai soffocati dalle braci rosse del tramonto, mentre la sera si allagava di viola. Nessuno dei due aveva messo il costume nella valigia poiché non partimmo con l'idea di fare una vacanza, così ci spogliammo in fretta e furia, dietro i teli presi di nascosto in albergo e ci tuffammo nudi come due fuggiaschi. L'acqua aveva la stessa temperatura del mio corpo e mi contenne in una bolla simile a un utero; una leggerissima corrente sottomarina lambiva il mio corpo, gravato da un'angoscia di morte e talmente rigido come fosse già sistemato in una bara. Tu ti avvicinasti con un amore che mi faceva male e, piano piano, incominciasti a lavarmi. Raccogliesti acqua nella coppa delle mani e la versasti sulla sommità del capo glabro. Massaggiasti la mia cute con una profonda pressione e potevo sentire i tuoi polpastrelli accarezzare i pensieri fino a modellarne la radice. Percepivo la forma del mio cranio e, in esso, tutti gli spazi vuoti intercorrenti tra una vecchia concezione e l'altra. Sentii la mia testa dilatarsi, mentre luoghi sconosciuti e anarchici si estendevano tra i reami dei miei piccoli tiranni. Mi massaggiasti la fronte con acqua pulita e poi il viso, stando ben attento a disegnare il contorno degli occhi e della bocca. Ogni poro diventava un nuovo confine conquistato, cancellato e disegnato di nuovo da una schiera di falangi potenti, seppur disarmate. Mi coccolasti il collo con entrambi i palmi e poi le spalle, le braccia, soffermandoti a lungo sulle mani. Cancellasti ogni impurità e nuove possibilità di agire percorsero le mie articolazioni. Lavasti il seno, mani timorose, quasi fosse la prima volta che lo toccavi. Avevo due braccia per cingerti e un centro per tenerti stretto alla mia fonte, avevo due mani e dieci dita per moltiplicare i sensi delle carezze, avevo gambe per braccarti i fianchi e capezzoli gonfi di nettare, poiché nella mia carne ti facesti piccola opera alchemica. Uniti in un luogo dove la speranza si recitava come una preghiera, tu eri il mio re, il mio eroe, il mio dio vivente, legame delle mie separazioni e spingevi con foga. Ero nella mia pancia, insieme a te e mi concepivo nuovamente per rimettermi al mondo. Mi formavo nella nicchia calda che ti accoglieva per intero e tu la riempivi con sommo piacere, quasi fosse la beatitudine concentrata di tutte le creature del creato dal primo giorno in cui "luce fu" all'ultimo istante in cui essa sarà. Ero Eva e Maria insieme; madre dell'umano e del divino, peccatrice e santa, fedele e adultera, finalmente viva. Ero Afrodite, nata vergine dalle acque, e tutte le donne mortali del mondo. Godemmo a lungo nelle ombre del crepuscolo, ripetuti orgasmi seguirono i coiti con cui attraversammo tutte le dimensioni e le plurime grandezze in cui eravamo proiettati. Restammo in acqua fino a quando non tornammo indietro io e te, finalmente noi, di nuovo piccoli, ognuno dentro sé, l'una accanto all'altro. Piansi a lungo quello notte, ricordi? Rimanesti sveglio per tenermi tra le braccia e baciarmi la testa, in silenzio, senza consolarmi, senza aggiungere dolore al dolore. Tu, semplicemente, mi contenesti in un abbraccio fino a quando non mi addormentai ancora singhiozzante. L'indomani avevi gli occhi rossi e gonfi; avevi aspettato la solitudine per piangere il tuo dolore. Mi baciasti poi la punta del naso intasato e mi dicesti "mi sono innamorato di nuovo di te". Scoppiammo a ridere di gusto, come se la tua affermazione fosse una battuta. Ridemmo talmente tanto che sgorgarono di nuovo lacrime dagli occhi e oggi so che la barzelletta era scoprire la vita solo nella paura di perderla, poi mi chiedesti di sposarti in chiesa, poiché celebrammo il nostro matrimonio solo con rito civile e allora ridemmo ancora più forte, fino a quando non riuscisti a strapparmi un sì. Ricordo ancora la faccia dei tuoi genitori quando glielo comunicasti. Eravamo nella casa di campagna e tua madre aveva preparato i tortellini per ingolosire il mio languore ormai dispettoso. Si era appena seduta a tavola e tu facesti l'annuncio con tanto di data e di anello, lei mi guardò allibita e augurò un buon appetito, facendo finta di nulla. Tuo padre, allora, affondò il cucchiaio nel brodo e lo bevve rumorosamente, tenendo gli occhi bassi. Ridendo assicurammo loro che li avremmo invitati, così lei disse «fate sempre sorprese voi due» ma non osò contraddire la scelta, seppur le risultasse alquanto inopportuna. Forse lo fu davvero, eppure ci risposammo con rito religioso cinque anni fa, nonostante nessuno dei due fosse cattolico. Litigai pure col prete nel confessionale eppure, il giorno dopo celebrò le nostre nozze sacre commuovendosi nel giuramento. Finché morte non vi separi. Lo giuro, lo giuro. Ci buttarono riso e petali rossi e ci augurarono talmente tanta buona fortuna che siamo ancora qui io e te. Poi le cose sono andate così come le conosciamo, così come non volevamo. I fatti accadono, la vita scorre, ognuno ha la propria fermata in cui scendere o salire eppure, c'è tutto un tempo che ci appartiene aldilà di quello che ci è dato oppure strappato, un tempo semplice come il gesto di svegliarci all'alba nello stesso istante, dirci buongiorno contemporaneamente, voltare insieme la pagina del calendario, girare il caffè nel medesimo verso, camminare l' identico passo, aspettare insieme una stella e fare l'amore così bene, come questa notte. È in questo tempo oltre il tempo l'istante tanto prezioso che mi commuove di umana finitezza ... sono così piccola di fronte alla subitaneità di un barlume di eterno, infinitamente piccola.

Ho sempre un po' di nostalgia quando ti guardo riposare, come ora. Sei nudo e sudato, con la testa reclinata sul cuscino: dormi o guardi altrove? Gli spettri ricominciano a perseguitarmi quando esci così soddisfatto da me e ti ritiri sul mio lato per riconquistare i confini del tuo corpo sfogato; so già che ora dormirai e anch'io sono stanca, domani sarà un giorno faticoso e tu mi accompagnerai all'ospedale. Se terrai gli occhi bassi, dirò al dottore che ho ancora abbastanza forze per fare l'amore due volte di seguito, così sarai costretto ad alzarli per l'imbarazzo e io riderò; lo sai, sono tremenda, lo sono sempre stata. Grazie per gli attimi di straordinario che mi regali, vivo tante vite insieme a te e, al contempo, un'unica esistenza. Grazie per l'amore e per questi riflessi di eros che mi rendono alla vita come donna e come femmina. Io e te saremo noi nei secoli dei secoli. Così sia.

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