Coincidenze poetiche

Quando Prévert e De André s'incontrarono a casa mia.

di Claudia Brigida Speggiorin.

Ciò che amo in Prévert è quel suo stare comodo ai margini del surrealismo e della sua Parigi; poeta strafottente e tenerissimo, giocoliere di parole, artista dalla lingua parlata, uomo che cammina nel mondo fischiettando, per vedere i miracoli con cui la semplicità canzona gli stereotipi di un ordinario conformato.

Amo quel suo armarsi di non sense per rispondere al buonsenso, di anagrammi comici per ingannare la ragione e raccontarne il dramma; amo le tiritere con cui sorride alla sorte, le assonanze e le ripetizioni con cui perpetua una banalità che tale rimarrebbe se non cambiasse quell' insulsa vocale o consonante capace di manifestarne l'assurda routine. Amo i ritornelli con cui disvela i nostri copioni, le rime infantili con cui denigra le nostre facce serie e impegnate.

Prévert non ha bisogno di concetti, a lui basta l' amore. Non ha bisogno di far colpo, a lui basta uno stupore. Prévert si veste di mediocre per riflettere i nostri soliti abiti e lo fa nei quartieri in bianco e nero di una città luce. In Prévert la libertà fonda la parola, l' Anarchia diventa lingua ribelle alle norme e il codice di quel mistero che scivola sotto la ragione si traduce in poesia.

Chiamatelo inconscio, chiamatelo anima, chiamatelo dio, chiamatelo spirito, chiamatelo immaginario, chiamatelo destino, caso o coincidenza, chiamatelo come volete, ma quell'Altro, qualunque nome abbia, se ne va dentro di noi fischiettando, proprio come Prévert tra la gente comune. Ride, sorride, c'irride e deride, perché ha ancora fiducia in noi.

Certo, qualcuno potrebbe dirmi che ci sono stati poeti surrealisti molto più talentuosi nei giochi di parola, Desnos per esempio, e come negarlo. Qualcuno potrebbe dirmi che ci sono stati altri che hanno fatto del culto dell'inconscio materia viva umana... Breton, Aragon, Éluard, è vero e tutti meravigliosi, ma... L' amore è così, mica si può spiegare, accade. È un richiamo istintivo, non un calcolo da far tornare.

Ebbene, un giorno, sono passati buoni buoni 13 anni, volevo buttar giù quattro righe...chissà a chi, poi... ma le mie parole, più che in versi, cadevano sul foglio con il tonfo di un lamento. Plumbee e gravi come i cieli che mi opprimevano. Leggevo distratta Prévert, mordendo il culo delle mie matite, mentre De André cantava da uno sfondo lontanissimo. Intanto, quell'Altro dentro di me, che si aggirava col suo fare canzonatorio appena sotto la soglia, decise di farmi una burla e, così, mentre leggevo "l'hiver comme l'été c'est toujours l'hiver/ le soleil du bon Dieu ne brill'pas de notr'côté, il a bien trop à faire dans le riches quartieres", In quello stesso momento, mi ritrovai tra i quartieri della "Città vecchia", "dove il sole del buon Dio non dà i suoi raggi ha già troppi impegni per scaldar la gente d'altri paraggi."

Il tempo si era infranto o forse no, forse si era unito.

Non scrissi quel giorno.
E il mio silenzio fu POESIA.

Ecco perché amo di Prévert quel suo stare ai margini del surrealismo.

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