L'ingrediente mancante - di Ferdinando Salamino



Esistono film più riusciti del romanzo da cui sono tratti?

Etichetta e statistica suggeriscono di no, eppure...

Eppure c'è questo romanzo di un grande autore, uno di quelli che, nel suo genere, è insuperabile per costanza e abilità.

Uno che ha sfornato Carrie, L'ombra dello Scorpione, Misery non deve Morire, L'ultima eclisse, Il Gioco di Gerald.

Giusto per dirne un paio.

Nell'anno 1977, il suddetto grande autore, che un po' si è fatto chiamare Richard Bachman e un po' col nome di battesimo, seppure monco (a quanto pare Edwin non fa abbastanza "maestro del brivido"), dà alla luce The Shining. Sono gli anni della passione per i poteri psichici e la telepatia e The Shining cade proprio a metà tra Carrie (scritto dallo stesso grande autore) e Scanners, film culto del grande David Cronenberg.

Il romanzo fa centro. Ha tutti gli ingredienti che fanno di Stephen King (ci eravate già arrivati, giusto?) il Re degli scaffali di tutte le librerie del mondo: un bambino un po' speciale (come ne Il Talismano, ad esempio), una famiglia che si ama ma ha qualche problemuccio (qui scegliete voi), un uomo che ha fatto qualche sbaglio ed è in cerca di redenzione (qualcuno ha detto L'Ombra dello Scorpione?). Trama serrata e avvincente, approfondimento psicologico non proprio degno di Dostoevsky, ma solido e diretto.

Possibile fare meglio?

Non facile, di sicuro, ma nel 1980 Stanley Kubrick accetta la sfida e, parere di chi scrive, supera il romanzo. E non di poco.

Come ci riesce? Ricetta semplice: è più cinico, spietato e cattivo di King.

Toglie dalla trama l'unico ingrediente superfluo: l'amore.

La famiglia Torrance non è più fondata su una coppia in difficoltà, ma ancora legata, ma su un uomo autocentrato e incapace di empatia (oggi, che va di moda, lo definiremmo forse un disturbo narcisistico) e una donna succube che cerca di compiacerlo per poter rimanere aggrappata al suo mondo.

Per il piccolo Danny essere telepatico non è un dono né un lusso, ma una necessità di sopravvivenza, perché è chiaro a tutti, fin dalle prime scene, che i Torrance sono una centrale nucleare nella quale il sistema di raffreddamento non è stato controllato da un po'.

La terrificante normalità dei Torrance rende quasi superfluo il fattore sovrannaturale, ma qui Kubrick fa la cosa che solo i grandi gioiellieri sanno fare: trasforma il superfluo in lusso, conferisce a quell'ornamento inutile un valore estetico così elevato da renderlo irrinunciabile.

La scena del triciclo, le gemelle, il barman, il custode precedente.

Il sovrannaturale diviene l'abito di una sposa cadavere: l'orrore è all'interno, ma la nitidezza delle scene lo amplifica, rendendolo così ampio e così profondo che lo spettatore non può che annegarvi dentro.

Grande merito va agli attori: di Jack Nicholson credo si sia detto tutto il possibile, ma credo che una menzione particolare la meriti Shelley Duvall, che interpreta Wendy Torrance.

Si dice che per tutto il film, Kubrick non facesse che lodare Nicholson e criticare la Duvall, facendola sentire un'incapace. Che sia questo il segreto dietro lo sguardo ansioso, tormentato e angosciato che Shelley ci regala per tutto il film?

Difficile dirlo, ma la prova d'attrice, a mio avviso, resta straordinaria.

Nel presentare il film, Kubrick commenterà che "c'è qualcosa di intrinsecamente sbagliato nella personalità umana."

Di sicuro, Shining coglie quel qualcosa come pochi altri film, come forse nemmeno il romanzo.

Se vi è venuta voglia di vedere il film, vi suggerisco di cambiare idea, a meno che non siate pronti a sonni agitati...

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