Segreto di famiglia - di Claudia Brigida Speggiorin


Non do quasi mai confidenza agli sconosciuti, poiché hanno sempre da lagnarsi del tempo, come se le condizioni climatiche avverse dovessero in qualche modo accorciare le distanze; eppure, quella mattina, capitó l'eccezione. Ero al solito bar sul lungolago e, mentre rinnovavo il fallimento di buoni propositi cedendo a cattive abitudini profumate di burro, cercavo di ricordarmi lo strano sogno che avevo fatto. Non riuscivo a metterlo a fuoco; le immagini si perdevano nelle ombre e mi rimaneva di sottofondo solo un vociare confuso, scandito da campane a lutto. Entrò una signora che non avevo mai visto prima, ma questo è un dettaglio del tutto irrilevante considerando che ero tornata a Como da pochissimo tempo e dopo svariati anni di assenza. Il suo volto, però, non mi era nuovo. Vecchia quanto il cappotto dal taglio maschile che indossava, una palandrana verde fuori misura, temporeggiava a ridosso dell'ingresso, tirando occhiate furtive al marciapiede. Stava farfugliando qualcosa...ave Maria piena di grazia è colpa mia non volevo ...avevo già sentito il tono torvo di quell'invocazione supplichevole...e benedetto è il frutto del seno tuo, anche il mio anche il mio...come se un'eco ribollisse nel fondo delle mie orecchie...adesso e nell'ora della nostra morte... la morte la morte. La sconosciuta conficcò i suoi occhi, uno sguardo dissennato color pioggia di novembre, dentro ai miei. "Mi ha trovata" pensai, ma la sorpresa fu il sapere di aver formulato quello stesso pensiero durante la notte, seppur il sogno continuasse a scivolare sotto la soglia della coscienza. Dissimulai la mia presenza sollevando il quotidiano, ma il martellare lento e nervoso delle sue scarpe luride di fango calpestarono orme che riemergevano dal sogno una per volta e, quando giunse al mio tavolo, acconsentii che si sedesse per liberarmi da quell' insensato demonio che mi gelava il sangue. Fui incauta, me ne accorsi dal cenno di dissenso che mi rivolse il cameriere. Le preghiere hanno sempre un lato oscuro da espiare.

«Sta arrivando, lo sento che si sta avvicinando, è qui vicino, aiuto, ci farà del male. A me e a lei, a tutte e due... Ave Maria piena di grazia» Sembrava parlare tra sé e sé ma non mi toglieva gli occhi di dosso. Sapevo che avrebbe ordinato un caffè e che volgendosi nuovamente a me, qualcosa in lei sarebbe cambiato e, così fu. Quando il suo viso tornò di fronte al mio, giuro che qualcosa in lei si era corroso; non solo nell'espressione ma anche nella fisionomia. Quel volto mi divenne estraneo per la seconda volta, di un'estraneità ancora più familiare. Mi guardai attorno ma nessuno pareva accorgersi di niente, solo il cameriere si voltò di scatto verso l'ingresso. Mi ricordai che in quel preciso istante il mio sogno s'interrompeva. Non sapevo cosa sarebbe accaduto dopo. Dietro al vetro smerigliato notai un'ombra o forse una luce, non ricordo, comunque un qualcosa che abbassava pacatamente la maniglia. Ero intrappolata in un incubo da cui non riuscivo a svegliarmi. Forse la sconosciuta si accorse, poiché ero rimasta pietrificata con mezzo cornetto in bocca e mezzo in mano o, forse, percepì anche lei un disgustoso alito di lago, sta di fatto che emise un gemito strozzato quando la porta si aprí in una fessura, tenendo gli occhi malati fissi nei miei. Poi, un colpo d'aria la spalancò. Rimasi sconcertata. Entrò un bel bambino di circa otto anni con un'aria familiare, forse perché aveva un'espressione che ricordava la sconosciuta, e occhi sporchi di fango, ad ogni modo corse verso di lei con un sorriso:

«Mamma ma non sentivi che ti chiamavo? Perché sei scappata via lasciandomi solo?».

La donna mi fissava, mentre le orbite si annacquarono di un dolore cupo e atroce. Occhi di Maria ai piedi della croce...prega per noi peccatrici. Continuava a voltargli le spalle, singhiozzando stupide preghiere, pertanto mi arrabbiai:

«Signora si vergogni, prenda suo figlio e lo riporti a casa. Alla sua età dovrebbe solo ritenersi fortunata ad avere ancora un bambino da crescere che, per altro, già si prende cura di lei.».

A quel punto la donna si alzò e uscì, mentre il figlio che teneva per la mano le disse «Ti ho trovata, mammina, andiamo a giocare sul lago?» Un brivido gelido mi freddò il sangue nelle vene. Il bambino parve accorgersi e si voltò. Giuro che il suo sorriso era diventato un ghigno perfido o forse, una smorfia tombale, in ogni caso assunse un aspetto familiare. Forse ero ancora sconvolta per essermi lasciata suggestionare a quel modo, forse ero anche arrabbiata o forse perplessa per l'eccessivo divario d'età fra i due ma, come si suol dire, tutto bene ciò che finisce bene o almeno, così mi raccontai. Le verità spesso stanno l'una dentro l'altra, come le matrioske. L'indomani mi recai nuovamente al bar. Presi la Provincia di Como per leggere le notizie e notai con sorpresa la fotografia della sconosciuta in prima pagina.

DRAMMA SUL LAGO DI COMO. Trovata morta ex detenuta.

Cernobbio. Alle 5.00 di questa mattina è stato rinvenuto il corpo senza vita di Angela Magnesini. La donna, due giorni fa, si era allontanata dalla struttura socio-sanitaria in cui era stata inserita dopo aver scontato una pena di venticinque anni nella sezione femminile della casa circondariale di Como. Ieri è stata avvistata da sola sul molo dei traghetti, in stato confusionale tale da condurla al gesto estremo. Le ricerche dei soccorritori, seppur tempestive, si sono rivelate vane. A ritrovarne il cadavere questa mattina, nei pressi di Cernobbio, è stato un pescatore che ha subito chiamato le forze dell'ordine. Singolare è il luogo del ritrovamento. Su quella spiaggia, nel 1978, la Magnesini- che in quegli anni intratteneva una relazione extraconiugale con Marco Sigmulti, il bagnino del lido- causò la scomparsa prematura del figlio di otto anni per affogamento. Confessò in seguito di aver trattenuto la testa del figlio sott'acqua per consumare un bacio che si dilungò più del dovuto. L'uomo si suicidò e lei venne processata e arrestata per infanticidio.

Mi venne un conato di vomito e le viscere strizzate pomparono in superficie un incubo affogato nell'infanzia. Riversai schiuma acida sul giornale. Il bagnino del lido di Cernobbio, l'amante connivente della sconosciuta, Marco Sigmulti, era mio padre. Avevo tre anni quando morì, in quello che negli anni mi raccontarono essere stato un salvataggio e, subito dopo, io e mia madre ci trasferimmo in Toscana a vivere dai nonni, pertanto non ebbi modo di apprendere la verità neanche come pettegolezzo di paese. Mi sentivo allucinata. Uscii dal bar senza sapere dove andare. Volevo correre ma non riuscivo. Le gambe erano pesanti. La lunghezza della strada si amplificava e l'asfalto sembrava sciogliersi sotto i piedi fino a diventare acqua putrida e maleodorante. Camminavo nelle sabbie mobili, a testa bassa, sprofondando a ogni passo, poi Inciampai su qualcosa, forse un piede, forse sulla mia stessa testa che era caduta con un tonfo tra le gambe; guardai e di nuovo vidi il volto della sconosciuta, sottosopra e distorto di morte. Stava di fronte a me con un ghigno plumbeo rigurgitante melma, ricoperta da alghe decomposte avvinghiate al corpo come tentacoli. Puzzava di carogna il suo fiato, quando mi parlò.

"Andiamo a giocare insieme sul lago? Tuo fratellino e tuo padre ti aspettano... non dirlo a nessuno, è un segreto di famiglia". Mi spingeva intanto sul molo, mentre la mia testa rotolava lontano e, negli occhi sbarrati, vedevo il gorgo del lago risucchiarmi in un grido senza echi. Solo il suono delle sirene rimbombava nelle mie orecchie e parole confuse di bambino.

Mi risvegliai all'ospedale. Per i medici avevo semplicemente perso i sensi, così fui dimessa. Presi il primo treno per Firenze e non tornai mai più nella mia città natale, pensando così di dimenticare quella strana vicenda. Oggi però ho trovato questa cartolina di Como nella buca delle lettere. L'ho girata e ho letto ciò che non avrei mai voluto leggere:

"Trovata! Basta giocare a nascondino, ora tocca me decidere a quale gioco giocare. Oggi giochiamo a morire. Tuo fratellino"

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