Omaggio a Virgilia D'Andrea (di Claudia Brigida Speggiorin)


Omaggio a Virgilia D'Andrea.

V'erano l'abisso e il cielo dentro il nostro affanno.

Era l'undici maggio del 1933. Virgilia d'Andrea giaceva su un letto d'ospedale a New York, terra d'esilio, rapinando attimi alla vita. In quella stessa data uscì "Torce nella notte". Lei "la fragile maestrina del popolo" ne accarezzó e ne baciò la copertina, poi, si spense, a quarantacinque anni, lasciando al mondo la fiamma della sua prosa. Ed erano lì con lei, c'erano tutti, tra le pagine di un amore raccolto nelle mani; c'era Errico Malatesta e c'era Pietro Gori, c'era Bresci il regicida e Michele Schirru, bello come un dio immortale davanti all'esecuzione, c'era Anteo Zamboni con la sua luminosa adolescenza linciata, c'erano il glorioso Lucetti, Sacco e Vanzetti. C'erano loro e c'erano anche tutti gli altri. Erano lì, lì con lei, roghi nelle tenebre, torce nella notte, oltre il confino dell'esilio, nel tempo della libertà.


Il libro non poté circolare nell’Italia fascista, ma alcune copie giunte ai compagni sfuggirono alla censura di Stato e, a settant’anni dall’edizione americana, nel 2003, Giuseppe Galzerano ne presentò la prima edizione italiana, in ristampa anastatica, corredata da garbata e commossa prefazione in memoria di una donna che mise la propria scrittura al servizio della libertà, nell’epoca in cui questo voleva dire carcere ed esilio.

C'è un qualcosa, infatti, nella prosa di Virgilia d'Andrea che sfugge alle regole, forse perché era poetessa, forse perché era anarchica. C'è un qualcosa che non si lascia afferrare, anelito indecifrabile nascosto tra le righe, appollaiato tra le parole e che pure si rivela tra un capoverso e l'altro. Appare con superba eleganza ed elude la cattura con indomito scarto. Sangue ribelle, io sento, sangue di regina selvaggia.

Nelle sue pagine ho fatto l'amore con la parola libertà, dolcissimo e feroce orgasmo di questa prosa posseduta d'anima, disubbidiente, consacrata all'Idea. Ho fatto l'amore incatenata alla sua caparbia bellezza ed ero schiava aggiogata, prigioniera incarcerata, schianto nell'oppressione. Ero l'irriducibile sentimento detenuto, condannato, costretto in cattività, gloriosa rabbia vegliante libertà, perché la potenza della scrittura di Virgilia sta proprio in questo continuo migrare dalla fragilità all'ardimentosa passione, dal bacile dell'anima al braciere della rivolta, dai ricordi di disarmata tenerezza alla più ardita ribellione, dalle tenebre oscure al fulgore rilucente del nuovo domani. Una prosa che scorre senza tempo, in tutti i luoghi della fuga, levigata e scaltra, abile a colpire, sapiente nel sentire. Una prosa che si rivolta tra le pagine, lasciando addosso il magma di un compito etico.

Le parole di Virgilia ci convocano ai piedi dei grandi ideali, laddove gli uomini e le donne hanno impugnato l’amore contro l’oppressore.

Se in “Tormento”, la raccolta di poesie pubblicata nel 1922, Virgilia “lancia i suoi versi come una sfida ai prepotenti, uno sprone agli ignavi, un incoraggiamento ai compagni di lotta”**, in “Torce nella notte” la sua voce diventa malinconica e i ricordi narrati sembrano consolare il dolore dell’esilio, mentre lei è già gravemente inferma.

Racconta l’infanzia derubata dalla morte violenta del padre e dei fratelli, lei, già orfana di madre. Racconta gli anni trascorsi in collegio e gli albori di un’anarchia covata nelle pagine di libri proibiti e in quella lirica di Ada Negri, il regicida, che lacera il velo dell’educazione cattolica per restituire alla mano assassina di Bresci il gesto della liberazione dei diseredati.

Rievoca il terremoto in Abruzzo e, intanto, si rivolge a se stessa, mentre abbandona la terra amata "maestrina, fragile maestrina, che ancora tutto non sai e avanzi verso il mistero, è questo, solo questo il quadro della tua vita avvenire.

Per una grande Idea;

di lotta in lotta, di prigione in prigione;

discacciata dalla patria, attraverso le vie del mondo, senza mai la tua casa, il tuo nido di rifugio, senza mai un sicuro domani."

Racconta le persecuzioni, gli anni errabondi trascorsi a fuggire, le lotte, Parigi, i compagni uccisi e quelli che hanno sacrificato la propria vita, il terrorismo rivoluzionario, l’attività di redazione e gli anni dell’esilio, senza casa.

“Torce nella notte”, prima ancora che denunciare, ricorda il passato, indaga i sentimenti umani, racconta l’amore, insegna la speranza.

E, intanto che scrivo, ti vedo Virgilia, aggraziata e sorridente, che puoi di nuovo camminare tra i boschi della tua madre patria, la tua Sulmona abbandonata. Ti vedo, donna d'Abruzzo, con occhi lumeggiati d'amore, rivolti a un cielo che vibra come un violino, mentre intoni il tuo canto all'uomo. Ti vedo, delicata presenza d'inquietante potenza, mano poetica nello scrivere, mano pronta a uccidere, mano docile nell'accarezzare, mano pronta a sparare. Ti vedo, con un garofano rosso tra i capelli, affettuosa nel convegno dei tuoi bambini e di una brutale giustizia nelle assemblee dei tuoi compagni. Ti vedo, evoluzione della tua rivoluzione e, sei bella, fiera Regina di libertà.

Tutto, tutto il nostro grande, immenso dolore si è distaccato da noi, si è liberato dalla materia; si è rifugiato sui vertici, si è fuso con l'azzurro. È diventato il canto supremo. È diventato l'abisso profondo. È diventato la montagna di luce che ha rovesciato le tenebre.

Crea il tuo sito web gratis! Questo sito è stato creato con Webnode. Crea il tuo sito gratuito oggi stesso! Inizia