Narciso attraverso lo specchio - di Isabel Del Greco

Era un uomo perbene e ordinario, dai modi gentili che sembravano quasi strappati a un altro tempo. Non vi era nulla di rimarchevole in lui, se non quell'ostinata assenza di caratteristiche speciali. In quell'uomo nulla attirava l'attenzione. Media statura, corporatura forse in leggero sovrappeso, il portamento dimesso di chi sembrava fare ogni sforzo per passare inosservato. Aveva un completo scuro leggermente sgualcito e un viso, anch'esso sgualcito, incorniciato da capelli biondi acconciati come i manifesti dell'esercito degli anni quaranta.

Eppure, quel lindo grigiore conservava una sua profonda dignità, come se fosse stato coltivato a discapito di innumerevoli tentazioni. Un uomo che aveva piegato il proprio orgoglio per un fine più grande, qualunque esso fosse.

Tornai con la mente al modo in cui mi aveva agganciata, approfittando della noia che mi coglie sempre all'aeroporto, paralizzando la mia naturale reattività come veleno di ragno.

L'uomo mi si era avvicinato con naturalezza, avviluppato in quel suo abito di elegante mediocrità che lo rendeva per nulla minaccioso.

"Buonasera. Anche il suo volo in ritardo?"

Lo avevo squadrato, in piedi di fronte a me, con un piccolo trolley e un borsello di cuoio nero a tracolla, simile a un controllore di qualche azienda municipale. Io ero seduta su una delle scomode poltroncine dello spazio di attesa, con le gambe accavallate. Il corto abito nero lasciava intravedere appena l'orlo dell'autoreggente, un vezzo che amavo concedermi in nome della mia indomita vanità. L'immancabile rosso Chanel mi accendeva le labbra, creando un gioco di riflessi con la mia lunga chioma.

"Sempre" avevo risposto, riprendendo a guardare diritto davanti a me, per non incoraggiare quello che mi pareva un ovvio, e ingiustificato, approccio.

"Mi scusi se sono inopportuno, ma l'ho riconosciuta da là in fondo e mi sono avvicinato."

"Mi ha riconosciuta?"

"Il suo saggio, quello sulla leadership post-moderna, c'era la sua foto sul retro della copertina."

Era insolito che qualcuno mi riconoscesse dalle foto, trattandosi di pubblicazioni abbastanza di settore.

"Le è piaciuto il saggio?"

"Non l'ho ancora letto. La foto era pessima, però."

Con quella critica diretta, e l'implicito complimento che conteneva, si era conquistato il diritto a offrirmi un caffè, e a parlarmi del suo progetto.

Ci eravamo seduti a un tavolo del lounge più discreto dell'aeroporto, e aveva cominciato a espormi le sue idee, accompagnandole con sue foto scattate negli angoli più disparati del mondo. Benché le situazioni fossero assai differenti e spesso suggestive, erano i volti e i corpi a essere protagonisti dei suoi scatti. Dovetti riconoscere che aveva un talento per catturare espressioni e gesti che, pur nella loro banalità, possedevano una sommessa bellezza. Non era però un buon venditore di se stesso, e produceva una quota residua di noia a ogni passo della conversazione, allo stesso modo in cui le vecchie macchine spanditrici rilasciano sputi di catrame lungo il percorso.

Mi parlava già da quasi mezz'ora, con voce piatta, cercando di farmi entusiasmare a un'idea che in realtà non aveva neppure iniziato a sembrarmi attraente.

"Vede, il mio proposito è di ricercare la bellezza in luoghi e modi inaspettati. Oggi la bellezza femminile è ritratta in forma mercificata, continua replica di se stessa. Tutte queste pseudo-modelle, perennemente in posa, come robot programmati per sembrare tutti uguali."

"Beh, ho visto diversi calendari molto belli, in realtà" replicai. Non capivo se il suo fosse un maldestro tentativo di seduzione o un riflesso di aristocratico snobismo, del genere che induce a rifiutare qualcosa soltanto perché piace a tutti gli altri.

"Sono belli - disse, infervorandosi - ma non sono unici! Si somigliano tutti, cambiano solo la misura dei seni e il colore della lingerie."

"E in che modo la sua idea sarebbe diversa?"

"Io voglio esaltare la bellezza di donne reali, che hanno fatto qualcosa della propria vita."

"Non lo trovo particolarmente originale. Gli scaffali sono pieni di calendari delle casalinghe."

Stavo per salutarlo e andarmene, quando disse qualcosa che mi colpì.

"Sta ragionando esattamente come loro vogliono che lei ragioni."

Tornai a sedermi.

"Loro?"

"L'industria del marketing. Prenda i calendari per casalinghe. Cosa ritraggono, secondo lei?"

"Così su due piedi, direi casalinghe" ironizzai.

"Esatto. Uno stereotipo. Nude ai fornelli, piegate in avanti con il grembiule che scopre loro il culo, oppure intente a impastare, i seni nudi coperti di farina. Icone ripetitive, offerte al voyerismo sterile del consumatore. Il mio progetto è diverso."

"In che modo?" chiesi, mentre la scintilla della curiosità si accendeva per la prima volta.

"Io non voglio ritrarre la professionista. Non le chiederò di inforcare gli occhiali o tenere un libro tra le gambe. Io voglio ritrarre lei, nella sua essenza. Voglio cogliere i riflessi di ciò che la sua vita ha inciso sul suo viso e sul suo corpo. Voglio lasciare che l'osservatore scopra la dea che alberga dentro di lei."

"Un progetto ambizioso", dissi, senza però nascondere quanto la proposta, formulata in quei termini, mi lusingasse.

"Ora devo imbarcarmi - dissi guardando ostentatamente l'orologio - ma le lascio il mio biglietto da visita. Le concedo una telefonata per provare a convincermi."

"Io credo sia già convinta - rispose con una presunzione che un po' mi piacque - ma la chiamerò per decidere il luogo e l'ora."

Aveva ragione, ero già convinta, sedotta dallo sfacciato narcisismo di quella proposta.

Sapevo anche che vi era una volontà di seduzione, neppure troppo implicita, dietro quell'invito. Quell'uomo tuttavia non aveva per me alcuna attrattiva, per cui avrei posato per lui, ma non avrei fatto altro. Dovevo solo decidere con che modi e tempi rendergli chiare le mie intenzioni.

Ero certa ne sarebbe stato deluso, ma non mi sembrava il tipo d'uomo che venisse meno alla parola per capricciosità o ripicca. Inoltre, teneva molto al proprio progetto, si capiva da quanto si infervorava, e non lo avrebbe mandato all'aria.

Accettai il luogo e l'ora che mi propose, non senza un brivido di allarme. Era una di quelle suite a tema dei motel per amanti clandestini, non certo una per chi aveva (avesse?) limiti di spesa, ma era comunque un luogo dove la gente si richiudeva per scopare.

Questo mi fece decidere per un approccio aggressivo alla questione dei "benefit", quelli che si aspettava e quelli che non avrebbe mai avuto.

La sera stabilita, mi registrai al motel e parcheggiai di fronte alla camera. La sua auto, un fuoristrada nero dall'apparenza mastodontica, era già lì.

Il fotografo corse ad aprirmi, aiutandomi a liberarmi del cappotto e adagiandolo su una sedia. La stanza era enorme, suddivisa in diversi microclimi. Una parte in stile giungla tropicale, un'altra che simulava un tipico loft newyorchese, infine un angolo che replicava il palco per la lap-dance di uno strip club. C'era una vasca idromassaggio piuttosto grande in un angolo, e uno smisurato letto ad acqua nel centro.

Aveva decisamente intenzione di usarmi a lungo, e in molti modi!

Lo ringraziai, mentre mi lasciavo scivolare il cappotto dalle spalle. Indossavo una blusa di cachemire nera e un paio di lunghi pantaloni, anch'essi neri. I miei capelli rossi e il rouge Chanel erano le uniche note di colore di una figura che avevo tenuto volutamente austera.

"Sei molto bella" mi disse. Passò a darmi del "tu" con naturalezza, come se il fatto stesso di trovarmi lì fosse un lasciapassare per l'intimità.

"Grazie - risposi, fredda - ma prima che cominciamo c'è una cosa che vorrei chiarire. Non ci sarà in alcun modo sesso, tra noi due. Non ci sarà stasera, né in nessun altro momento. Apprezzo molto i tuoi modi, e ammiro la tua arte, ma non c'è nient'altro di te che scateni in me attrazione o anche solo erotica curiosità. Voglio che tu lo sappia perché mi sembri una persona corretta, e non desidero in alcun modo che tu ti senta preso in giro."

Restammo entrambi in silenzio per qualche istante, e avvertii un fremito di paura. Come avrebbe reagito? Sembrava una brava persona, ma ero in una stanza di motel, con lui, a tarda sera, e non avevo detto a nessuno dove andavo (sarei andata?).

Maledissi la mia vanità e la mia arroganza, che avevano cospirato per infilarmi in questo guaio.

"Ti ringrazio per la tua franchezza - disse, infine - Ovviamente non ti mentirò dicendoti che non speravo diversamente. Tuttavia, questo non cambia nulla per me. Voglio ancora ritrarti, se anche tu lo vuoi."

Gli sorrisi.

"Certamente" dissi.

Cominciò a disporre delle strutture fisse che, a quanto capivo, servivano a trovare la giusta luminosità. Fece dei test e delle misurazioni, chiedendomi di posizionarmi in diversi punti della stanza, poi aprì il trolley che giaceva in un angolo. Mi parve lo stesso che aveva all'aeroporto. Vi rovistò per qualche istante, poi mi porse un corsetto rigido, dall'area vagamente ottocentesca.

"Vorrei che indossassi questo, per favore."

Mi piacque, lo trovavo sensuale in un modo un po' malinconico, e aveva una bellissima sfumatura di azzurro che faceva risaltare i colori della mia pelle e dei miei capelli.

"Cosa vuoi che indossi sotto?"

"Quello che hai va benissimo" disse. Dubitai che si riferisse ai pantaloni.

Gli rivolsi uno sguardo allusivo, invitandolo silenziosamente a rispettare il confine che ci eravamo dati, poi mi ritirai in bagno a cambiarmi.

Mi tolsi la blusa e i pantaloni. Indossavo un perizoma nero in pizzo, che richiamava i lacci sul davanti del corsetto. Curiosamente, era un abbinamento molto gradevole.

Iniziai a indossare il corsetto, ma i ganci sulla schiena erano molto fitti, e riuscii ad agganciare soltanto i due più in basso.

Fu così che mi ritrovai a uscire dal bagno in intimo e tacchi a spillo, con un corsetto che a stento mi copriva i seni. Dovetti chiedere aiuto al fotografo che, come era da attendersi, fu solerte e meticoloso.

Sentivo le sue dita che, col pretesto dei gancetti, mi sfioravano la schiena, e mio malgrado avvertii i miei capezzoli inturgidirsi, come sempre in risposta al tocco gentile di un estraneo. Non vi era minaccia, nelle sue mani, solo un servizievole adoperarsi, con un soffio appena accennato di voluttà.

Mi accompagnò alla parete della lap-dance, e cominciò a scattare a ripetizione. Io mi muovevo guidata dall'istinto, anche se talora ricevevo delle istruzioni.

Più mi abbandonavo al movimento, più l'imbarazzo scemava e cominciavo a provare piacere nell'eseguire i suoi comandi.

Non era una cosa sessuale, piuttosto il piacere di sentirmi fluida, modellabile. Libera, sia pure in modo tortuoso.

"Dammi qualcosa - mi esortò - non lasciare che la scena diventi statica. Continua a muoverla..."

Guidata da un inspiegabile impulso, cominciai a giocare col perizoma mentre volteggiavo.

"Così... stupenda!"

Godevo nel compiacerlo, nel dargli più di quanto si aspettasse, nel porre un confine per oltrepassarlo l'istante successivo. Lasciavo che l'obiettivo della macchina fotografica sbirciasse le mie gambe sottili, il mio culo stretto e sodo e la soffice striscia di peli pubici che mio marito trovava poco decorosa e il mio amante adorava.

"Ora toglilo, dai" mi disse, indicando con lo sguardo la sottile striscia di tessuto che difendeva, sempre meno efficacemente, la mia intimità.

Gli lanciai uno sguardo esitante, restia a compiere quel passo che, temevo, lo avrebbe autorizzato a rivedere i nostri accordi, ma qualcosa nella sua voce e nel suo sorriso mi tranquillizzò. In fondo, gli avevo già mostrato tutto quello che la stoffa avrebbe dovuto celare. Si trattava solamente di rinunciare alla finzione di un pudore che non avevo.

Mi liberai dello slip, lanciandolo nella sua direzione con un sorriso complice.

Come se quel gesto avesse infuso propellente nei suoi serbatoi emotivi, cominciò a scattare convulsamente, catturando ogni posizione, ogni espressione, ogni gesto.

Braccata dalla macchina fotografica, mi scoprivo a ogni istante più puttana. Mi piegai in avanti per offrire a quell'occhio indiscreto la vista delle mie natiche e della morbida fessura tra di esse, poi mi voltai, stringendo il corpetto tra le mani per evidenziare la curva dei miei seni. Non c'era nulla che, in quel momento, non avrei fatto per quella creatura fatta di lenti e ingranaggi che era diventata la mia vera amante.

Il fotografo chiese una pausa. Lo vidi indaffarato e assorto mentre cambiava la posizione delle luci e sostituiva la macchina con una più piccola e mobile.

"Ora vorrei giocare con le tue sfumature di rosso" mi disse, porgendomi una lunga sciarpa di seta color rubino.

Lo guardai senza capire.

"Togliti il corsetto. Questa striscia di rosso acceso sarà il tuo vestito per i prossimi scatti." C'era qualcosa di rassicurante e al tempo stesso imperioso nel modo in cui mi impartiva le sue istruzioni. Mi voltai dandogli le spalle.

"Aiutami coi ganci, per favore."

Mi spogliò, con lentezza, un gancio dopo l'altro.

Avvertivo la presenza del suo corpo vicino al mio, fin quasi a sentirne l'erezione, ma non mi toccò, fatta eccezione per le dita impegnate nel compito che io avevo loro assegnato.

Fui compiaciuta dal modo in cui rispettava le regole, giocando nelle zone d'ombra del nostro accordo (mi sembra più comprensibile così).

Mi ritrovai nuda di fronte a lui, la fascia rossa stretta tra le mani.

"Immagina che sia un bavaglio da cui devi liberarti, o un laccio che ti trattiene..." mi disse.

Chiusi gli occhi, lasciando che l'idea mi penetrasse. Ingaggiai la mia battaglia con quella striscia rubino, combattendola come un nemico mentre al tempo stesso la abbracciavo come un'amante.

"Stupenda!" esclamò il mio fotografo a più riprese, mentre quel conflitto si consumava.

Si fermò per mostrarmi gli scatti, e mi lasciò a bocca aperta. Mi ero sempre considerata una bella donna, e mi fidavo del mio fascino. Sapevo l'effetto che potevo fare su un uomo, e ne avevo sempre goduto apertamente, senza ipocrisie o false professioni di modestia. Tuttavia, la donna che mi si presentava attraverso quello strano specchio riflettente era qualcosa di diverso, qualcosa di più. Era l'essenza di ciò che sarei stata se una mano divina avesse potuto ripulirmi delle mie increspature, delle indecisioni, dei difetti. Ero la Dea risvegliata nel corpo della donna. Non aveva mentito.

"Ti piace?" mi chiese con struggente sincerità.

"È meraviglioso" risposi.

Mi appoggiai a lui, gratificandolo di uno sguardo di adorazione. Mi fissò negli occhi, sorridente, poi depositò un bacio sulle mie labbra. Fu una cosa lieve, casta, un gesto di gratitudine più che di seduzione. Lo lasciai fare, deliziata da quell'intimità svuotata dell'attrazione, così diversa dalla carnalità cui ero abituata.

"Ora appoggiati lì, con le mani aperte." Mi piegai in avanti e appoggiai i palmi alla parete, come chiedeva. Avevo le sue mani su un fianco e sulla schiena, che mi plasmavano come creta.

"Inarcati... così."

Ero totalmente indifesa, esposta, al punto che potevo quasi sentire sulla pelle i morsi della macchina fotografica mentre il dirompente rumore del flash squarciava il silenzio della stanza.

Continuò a scattare come ipnotizzato dalle mie forme, preda di una passione che si sublimava in quell'amplesso fatto di carne e idee.

Quando ebbe finito, era ansante e sudato come se mi avesse scopata.

Mi mostrò le foto, e mi baciò nuovamente. Lasciò che le labbra esitassero più a lungo sulle mie, ma non fece altro.

Non lo respinsi.

Mi sentivo grata per quel lusinghiero ritratto, ed eccitata dalla mia stessa bellezza. Pensai per un istante che Narciso doveva essersi sentito così, un attimo prima di compiere il gesto che lo avrebbe perduto per sempre.

"Vorrei cambiare scenario" disse, e mi porse un altro abito.

Mi ravvivai il rosso sulle labbra, mentre il mio pigmalione riorganizzava lo spazio e cambiava i propri strumenti. Indossai il vestito e mi contemplai in uno dei numerosi specchi sparsi per la stanza. Assomigliavo a una creatura di un romanzo gotico, una strega o una vampira strappata alle pagine di LeFanu o Mary Shelley. Stranamente, non avvertii disagio o imbarazzo di fronte a quell'ovvia caricatura di me stessa. Al contrario, mi parve uno sviluppo naturale di quella trama intricata tra modella e artista, nel buio della notte.

Fece qualche scatto di me seduta in un angolo, mentre giocavo con le spalline del vestito. Rispondendo agli inviti della sua voce, esibii i miei seni dai capezzoli appuntiti e le mie cosce esili e muscolose. Giocai con la penombra, rivelando a poco a poco, la rosa di carne tra le mie gambe, umida come non avrei mai pensato.

Allungò una mano ad accarezzarmi con dolcezza il viso e i capelli, mentre l'incessante scatto della macchina immortalava quegli attimi di intimità. Il suo tocco mi diede i brividi, e mi sentii come spezzata in due. Una parte di me era affascinata da quella tragedia erotica, dalla storia di quel desiderio destinato a essere respinto. Un'altra, affondata nelle mie viscere, rifiutava quel contatto illegittimo e rivendicava il proprio diritto al disgusto. Era come se una eccitazione spirituale lottasse per trascendere la repulsione fisica, in una battaglia che non avrebbe mai riconosciuto un vincitore.

Mi abbandonai a quella emozione incompiuta, incontrando la sua carezza e incoraggiandola con il mio sorriso.

Cominciai a toccarmi, schiudendo le mie labbra con le dita e offrendo all'obiettivo e al suo proprietario la visione del mio clitoride, mentre mi donavo piacere.

"Brava, continua a muoverti" mi incoraggiò ancora lui, prolungando la sua carezza.

Gemetti piano.

"Ora vai sul letto."

"No, io..." tentai di ribellarmi.

"Non ho intenzione di violare il nostro patto. Fai come ti dico."

Fu perentorio, ma anche dolce. Obbedii.

Mi distesi sul letto, notando per la prima volta lo specchio sul soffitto. Un'altra me, sensuale e fatata, mi guardava dal riflesso.

"Ora ti raggiungerò su quel letto, per poterti fotografare dallo specchio. Non spaventarti" disse.

Lo sentii avvicinarsi, poi avvertii lo sbuffo del materasso, nell'accogliere il nuovo ospite.

Io transitavo da una posa all'altra, ignorando la figura al mio fianco. Il flash esplodeva nell'aria con un ritmo crescente, in un modo che mi ricordò l'ossessivo incedere di Ravel.

Il materasso sbuffò ancora, quando il fotografo si avvicinò fino a lambire il mio corpo nudo. Io continuavo a guardare in alto, accettando silenziosamente quella crescente prossimità.

Avvertii il contorcersi esitante del suo corpo, sospeso tra la ricerca del contatto e la fedeltà alla parola data.

Avevo potere di decidere. Se mi fossi leggermente scostata, ero certa che quell'uomo grigio e perbene si sarebbe rintanato nel suo involucro, continuando a scattare. Se lo avessi fatto, però, la magia di quella tensione erotica che per suo tramite mi legava a me stessa si sarebbe spezzata. Saremmo tornati umani, fotografo e modella, ciascuno confinato nella propria pelle.

In quel momento, invece, eravamo tutt'uno, mentre intessevamo quella danza al ritmo martellante imposto dal flash.

Dischiusi leggermente le gambe, in modo che il mio ginocchio sfiorasse il suo. In quel modo, la mia fica si offrì all'obiettivo, poeticamente oscena.

In risposta a quella implicita concessione, gli scatti si fecero più convulsi, come le spinte di un amante affondato dentro di me.

Sentii la sua mano posarsi sul mio ginocchio e scivolare lentamente giù, lungo il declivio della coscia.

Si fermò.

Click.

Potevo percepire il senso di attesa, il calore della sua mano.

Click.

La mano scivolò più in basso, sfiorando l'attaccatura della coscia, e si fermò nuovamente. Permessi rubati, patti scritti, strappati e poi riscritti.

Click.

Lasciai che le mie gambe si aprissero ancora. Lui si mosse, agganciando il mio piede al suo e intrappolandomi in quella posizione.

Click.

La mano si mosse ancora.

La sentii accarezzare il monte di venere, sfiorare l'apertura delle grandi labbra e accarezzare il perineo. Cominciò a massaggiare il mio clitoride, con inaspettata leggerezza, così diversa dal respiro greve che avvertivo sul mio collo.

Schiusi le labbra, e lasciai che i gemiti gli annunciassero la mia resa. Spalancai le gambe e gli offrii la pienezza della mia fica. La sua mano si impadronì di me, mentre l'altra continuava a scattare incessantemente.

"Voglio ritrarre il tuo orgasmo" disse, e io gli diedi quello che voleva.

Mi aprii per lui, mentre la vanità mi intorbidava l'anima, rendendomi schiava di quell'amplesso con me stessa. Stavo facendo l'amore con quella figura meravigliosa riflessa dallo specchio, usando la mano di quell'uomo brutto e geniale come un tramite.

Mi lasciai possedere dalle sue dita, fui penetrata e usata come nessun cazzo avrebbe mai potuto. Al tempo stesso, ero libera di ricongiungermi con me stessa. Mi scopavo, mentre le sue dita affondavano in me, uscendone liquide e calde.

Venni senza preavviso, sorprendendo me stessa, con un grido quasi primordiale che mi lasciò svuotata e confusa. Ero venuta con una violenza squassante tra le braccia di un uomo che mi disgustava, e non riuscivo a capacitarmi.

Non ebbi il tempo di pensare oltre.

Il fotografo si alzò, andando ad appoggiarsi alla parete. In quel momento, mi accorsi che si era slacciato i pantaloni, mentre eravamo distesi fianco a fianco, e potei contemplare la sua erezione.

Era un cazzo piccolo, eppure minaccioso. Tozzo e nodoso, era una perfetta estensione del suo proprietario, ma senza possederne la gentilezza. Una creatura deforme e affamata, come sanno esserlo solo i desideri non corrisposti.

"Inginocchiati - mi disse - ti voglio sporcare."

Soggiogata da quell'incantesimo, ne ero atterrita e al tempo stesso avrei fatto qualunque cosa perché non finisse.

Feci come mi chiese.

Mi alzai dal letto, coprendo con lentezza la distanza tra noi due.

Ondeggiai sui tacchi a spillo, come ubriaca, ma il mio sbandare era stranamente sensuale nella penombra.

Mi misi in ginocchio di fronte a lui, portando le mani dietro la schiena in segno di assoluta sottomissione.

Era giusto.

Lui aveva creato quella dea che avevo ammirato posa dopo posa, scatto dopo scatto. Lui aveva risvegliato in me la driade leggiadra e imprendibile che ero in quel momento.

Apparteneva a lui almeno quanto apparteneva a me. Era sua.

Ora, dopo averla esaltata, voleva imbrattarla, schizzarle il suo seme come atto di possesso.

Nichilismo creativo, pensai.

Sollevai gli occhi, guardando dritto nei suoi.

"Allora sporcami."

Portò una mano dietro la mia testa. Dapprima accarezzò con dolcezza i miei capelli, poi li afferrò con violenza, immobilizzandomi. Con l'altra mano si masturbava convulsamente, prossimo all'esplosione.

Mentre osservavo il suo volto tingersi di rosso e le vene del collo espandersi, potevo quasi misurare gli attimi che lo separavano dal culmine. Sollevai il viso, per offrirgli tutta la sua superficie. I miei seni si alzavano e si abbassavano a tempo con il suo respiro, invitandolo a riversarvi il suo piacere. Ero di nuovo una tela, pronta a essere plasmata dalla violenza di quell'atto in cui distruzione e creazione si scioglievano l'una nell'altra.

La sua mano si strinse ancor più forte attorno ai miei capelli, obbligandomi ad avvicinare il mio viso al suo sesso. Non si concesse di schiaffeggiarmi le labbra e le guance con il glande teso, come senz'altro avrebbe voluto. Era fedele all'implicito patto fra noi, poteva usare la dea, non scopare la donna.

"Apri la bocca."

Obbedii, estraendo la mia lingua affinché sapesse che ero pronta. Che ero sua.

Non dovetti attendere molto. Un fiotto interminabile mi investì il viso e la bocca. Schegge di sperma rovente mi trafissero i seni, per poi colare lungo l'addome fino a raggiungere la fica. Penetrarono negli occhi che avevo tenuto aperti per concedergli quell'ulteriore conquista, e ne uscirono sotto forma di lacrime dense e sporche come la pioggia d'autunno.

Annusai l'odore del suo seme di maschio diffondersi nell'aria, aggredirmi le narici, estrema manifestazione del marchio che, malgrado tutto, mi aveva lasciato.

"Non muoverti" mi disse.

Mi scattò molte altre foto, riprendendo da diverse angolazioni il mio corpo profanato, poi cominciò a rivestirsi con calma. Radunò l'attrezzatura e la ripose con esasperante meticolosità nella valigia. Io rimasi ferma vicino alla parete, senza parlare.

Udii alle mie spalle le cerniere del trolley chiudersi, poi il cigolio della porta sui cardini.

L'uomo spense la luce e uscì.

Io stetti lì, inginocchiata al centro di quella oscurità, con le mani dietro la schiena, e lasciai che lo sperma mi si seccasse sulla pelle.

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