La legge del branco (di Jacopo Casiraghi)


<inizio trasmissione>

Ho imparato moltissimo negli ultimi Segmenti. Anche adesso lo sto facendo, imparando dico, perciò se scrivo in modo bizzarro non stupitevi, vado a caso quel tanto che basta perché mi soccorra l'istinto. L'istinto è importante perché tira fuori dai guai, ve lo dico io. A volte capisco il significato di una parola solo dopo averla scritta e lo strano dejavù che mi provoca mi fa pensare che la Connessione abbia plasmato i miei ricordi con quelli dell'intero branco e che non sia io a scrivere ma semmai intere generazioni di amicicompagnicadutinelfuocochedivora.

Mi chiamo Robert, ma tutti mi chiamano Rob. Prima valevo solo un misero "hey tu" e quindi si presume che qualche progresso l'abbia fatto. D'altronde sono qui a raccontarlo e questo lo considero già un successo. Come quando si acchiappa al volo una mosca: solo meglio, senza ali sulla lingua.

Inizialmente il Gioco era difficile. Molto difficile. Un'esplosione di luce e poi il freddo nelle vene. Flussi vibranti di odori e sapori: la terra bagnata, il silicio che pareva d'aver masticato edera e il tanfo del sangue e della nafta. Silicio! Ssssssilicio! Che nome buffo, così sibilante: come un serpente. Io amo i serpenti. Solo un sibilo e rabbrividisco tutto. Amo i serpenti.

All'inizio non capivo le leggi del Gioco e fuggivo dagli odori più intensi che impregnavano il campo di battaglia. Ero impaurito e troppo lontano dal mio territorio. Molti non ce la facevano e morivano fra le rovine di città arrugginite, su stelle lontane e polverose, nei crateri che costellavano il terreno riarso. Anche io ero sicuro di restarci secco. Lo vedevo ad ogni Segmento, connessione dopo connessione: il cervello si scioglieva esalando l'acre odore elettrico dei relè bruciati e gli occhi dei miei fratelli si chiudevano catrameneropozzidibuiopersempre, da una parte e dall'altra, nel Gioco e nella Camera di Immersione. Avete visto? Le parole vengono così: da sole e di getto. Va bene: acre non mi piace e neppure relè. Ma bizzarro e sintassi sono come silicio. Parole che suonano meravigliose perché mi ricordano insetti o animali mai incontrati ma appresi grazie al Gioco.

Il Gioco mi ha insegnato le parole. Me le sta ancora insegnando. Le parole sono un gioco dentro il Gioco, l'Easter egg del programma, una sorpresa dentro l'altra. Trovare il modo in cui infilare in fila filante frasi con frotte di effe è fantastico! Cosa c'entrino le uova di Pasqua però non lo so.

Nel Gioco, per ogni compagno caduto uno, dieci, cento novellini ne prendevano il posto. Le squadre venivano riorganizzate e i rapporti di potere messi alla prova. Segmento dopo Segmento chi imparava guadagnava un punteggio da Veterano. Ce la facevano solo i più forti e i più intelligenti con qualche eccezione, come il sottoscritto, ma ancora non bastava: si dovevano affrontare sfide sempre nuove e complesse. Ogni Segmento ti apriva il cranio con un bisturi fiammeggiante di dati: potevo sentire l'olezzo del disinfettante industriale e il dolore alla base del collo. Poi la Connessione riempiva gli occhi di esplosioni di luce mentre le sonde corticali risvegliavano sinapsiperduteinlabirintippotalamici. Parole parole parole. Quante folli parole ho nella testa: premono contro la mia fronte e sembrano voler schiumare via. Un mare di sillabe e lettere. Sillabe e lettere! Ma non devo farmi distrarre: le parole a volte sono come fango: rallentano, sporcano, se sono troppe ti risucchiano e non ti soffocano. Non devo farmi distrarre.

Devo scrivere di cose più importanti.

Ben presto comparvero i primi Nemici. Lo capii dall'odore che c'era qualcosa che non andava: un effluvio aspro e metallico che feriva il naso. Il mio amico Han venne catturato. Gli spezzarono la schiena divorando la sua Anima nel Gioco e la sua Vita nella Camera d'Immersione.

Io ovviamente fuggii.

Non ero mai stato un gran combattente e sentire il lezzo del suo corpo squarciato mi rese folle di paura. Mi imbucai in un cantuccio che sapeva di muffa, nella speranza che i nemici si fossero dimenticati che c'ero anche io sulla Pista di Caccia. Pista di Caccia!

Passai il resto del Segmento tremando come una foglia, le fauci secche, fiutando l'aria alla ricerca del pericolo. Poi, invece di essere ucciso, mi scovò Dick jr. Non so perché jr., ma lui ci teneva a quelle due lettere con un punto.

Dick jr. era gigantesco, non solo grosso, no, sembrava avesse mangiato qualcosa di veramente enorme e fosse cresciuto ancora. Sotto i muscoli potevi indovinare altri muscoli! Era un gigante nel Gioco come nella Camera d'Immersione. E brutto. Senza un occhio e con una cicatrice che sapeva di rabbia e metallo arrugginito.

Dick jr. non ebbe pietà della mia situazione: "sentivo il puzzo del tuo piscio da dietro quella collina" mi ringhiò contro.

Naturalmente aveva ragione: me l'ero fatta sotto a causa di quell'attacco inaspettato. Ero veramente mortificato e tenevo gli occhi bassi.

"Che ti piglia? Perché stai tremando? Andiamo, sei rimasto vivo, se tutti i sopravvissuti diventassero delle sogliole quando li vado a recuperare saremmo finiti. Fatti una risata!"

Ma io non avevo voglia di ridere. "E gli altri?" mugugnai in colpa "li ho abbandonati tutti" ammisi.

Se avessi potuto seppellirmi nel mio buco lo avrei fatto, anzi stavo quasi per iniziare a scavare una buca bella grossa, una buca nella buca per così dire, quando Dick jr. aggiunse: "Tutti morti. Ce la fanno solo quelli che corrono veloci e che sanno dove nascondersi. Al primo attacco sopravvive chi scappa. Ringrazia l'istinto che ti ha fatto trovare questo buco. Ah, ed è pure fresco qua sotto. Peccato per il puzzo".

Mi fissava con invidia. Nel mio nascondiglio non ci sarebbe stato neppure con la testa.

"Io non capisco..." ammisi.

"Naturale! Giochi da poco tempo. Ce ne vuole il doppio per diventare intelligente come me!"

Io aggrottai il naso, no, come si chiama? La fronte. "Pensavo di dover vendicare Han e..."

"E lo vendicherai, te lo prometto, ma non da solo. Per sconfiggere il nemico dobbiamo attaccarlo in gruppo e ormai hai un punteggio soddisfacente: ti voglio nella mia squadra. Farai parte dei Delta Rex".

Alzai il capo pieno di orgoglio. I Delta Rex! Una delle migliori squadre dell'intero Gioco. Si diceva che solo i più forti potessero militare nelle loro fila e i loro punteggi... pazzeschi, sempre in vetta alle classifiche! In vetta alle classifiche!

"Piano, piano: non ti esaltare. Lo sai che i Delta Rex accettano solo le missioni più difficili? E infatti abbiamo una percentuale altissima di caduti! Se vuoi sopravvivere è bene che impari a combattere per davvero... ma non devi avere paura: per questo ci sono io, quant'è vero che mi chiamo Dick jr.!" e fece un ghigno tremendo.

Non avevo ancora capito di essere caduto dalla padella alla brace.

Non si sopravvive senza la propria squadra. Questa è la prima regola o legge del Gioco. Le regole sono importanti e io le sto scrivendo per voi, miei fratelli, e per quelli che verranno. Regole regole regole. E ordini. Per questo sono qui, per questo il Gioco mi ha permesso di raccontare la mia storia. Per questo ho imparato.

I Delta Rex avevano una rete di relazioni fitta e profonda, erano tutti fratelli e capivano cosa pensavano l'un l'altro con una sola occhiata. Non c'era neppure bisogno di parlare. Meglio! Mai amato parlare, sembra che mi si rivoltino le budella quando parlo.

Con i Delta Rex mi sentii come a casa, anche se una casa non l'avevo mai avuta. Fatto sta che Dick jr. mi presentò ai compagni e prese ad iniziare ogni Segmento al mio fianco. Mi insegnò come nascondermi, come abbaiare ordini alle nuove reclute, come accerchiare il nemico e come sopravvivere. In breve mi insegnò tutto quello che sapeva del Gioco e dei Nemici.

Ovviamente il fatto che lui cercasse di insegnarmi non voleva dire che io imparassi di buona lena. Non sono mai stato un asso a pattugliare, a tendere imboscate o seguire le tracce dei Nemici. Grazie a Blaster però imparai ad uccidere, o quasi.

Vi ho già parlato di Blaster?

Feci la sua conoscenza riverso per terra, con la lingua fra i denti, mentre odoravo nevefragrantedilunamarziana.

Blaster era magro come una faina, nero come un corvo, e avevo pensato di metterlo sotto facilmente. Invece, sorpresa!, mi aveva placcato e spedito a terra in un colpo solo.

"Ti basta?" sibilò.

Mi bastava eccome perciò boccheggiai: "mi arrendo, sei tu il capo".

Era abbastanza usuale, tutti erano il mio capo nei Delta Rex e io mi accontentavo di quello che avanzava. Nel Gioco bisogna intuire che posizione si occupa. Se sono rimasto vivo è perché ho capito subito da che parto stavo della scala del potere: in basso, molto in basso.

"Lascialo andare, è quello nuovo, senti? Odora ancora di latte" disse Dick jr.

"Puzza di paura".

"È perché credo che tu mi abbia slogato la spalla!" ansimai io.

Alla fine non mi ero rotto nulla, ma Blaster aveva deciso che mi avrebbe insegnato a combattere corpo a corpo. Penso la vedesse come una sorta di sfida personale ed io ero il tipico allievo in grado di frustrare anche l'insegnante più motivato.

I Delta Rex eccellevano nella lotta e a differenza degli altri reparti portavano la guerra mimetizzandosi e infiltrandosi alle spalle dei Nemici. Io almeno a strisciare me la cavavo: avanzavo silenzioso sui gomiti, la lingua fra i denti e parevo una rana. "Vai così!" sbraitava Dick jr. Quella sera forse avrei potuto ricevere un po' di cibo come ricompensa.

Con il tempo da preda divenni una specie di cacciatore, con Dick jr. e Blaster che mi alitavano sul collo. Per sopravvivere bisogna essere almeno in tre, bisogna formare una Triade. Questa era la seconda regola del Gioco. Formare una Triade.

Ogni Segmento portava con sé una nuova sfida e persino Dick jr. spalancava le mascelle di fronte a certe stranezze: calcoli astrusi e pollo fritto, mappe treddì e fieno tagliato, aceto di vino e algocosi.

Avevo imparato moltissimo dopo gli ultimi Segmenti, davvero, ma quell'ultimo Segmento il Gioco volse al peggio.

Mi gettai sul Nemico buttandolo a terra e rotolando con lui in mezzo alle macerie. Mi sembrava di avere la melassa nelle narici tanto puzzava: suppurareammoniacadifichiacerbi. Lo presi al collo e cominciai a stringere. Blaster lo aveva attaccato per primo ed era stato colpito, il ventre perforato. Il fascio di luce che era partito dalle mani del Nemico lo aveva trapassato come un pallone.

"Che diavoleria è mai questa?" aveva detto Dick jr. prima di colpirlo alla spalla: la paura ci aveva reso imprecisi. Tutto intorno una pioggia di fuoco e sibili e luci distruggeva la nostra squadra e disperdeva le altre Triadi.

"Fa male!" urlava Blaster e intanto si contorceva morente nei suoi intestini.

Mi sentivo il cuore in gola mentre cercavo di scalzare dalle mani del Nemico quella nuova arma. Un altro raggio e fuocovibranteICEnelprogrammaneuronale, la testa di Dick jr. esplose di colpo come quando lanci un melone maturo contro un muro... Paragone arguto dato che io i meloni non li avevo mai neppure visti. Erano solo le parole del Gioco, tutto qui.

La furia mi travolse: i miei fratelli! "Muori bastardo!" gridai. Persino io potevo essere pericoloso quando serve. Lo avevo buttato a terra per miracolo, ma fu la rabbia a darmi la forza di tirare e strappare. Alla fine riuscii a squarciare la corazza del Nemico: sapeva di gomma vulcanizzata e carbone. Sotto raggiunsi la carne.

Attorno a me un inferno di grida, muggiti ed ululati. Mi ritrovai a pensare che sembrava avessero aperto le porte dell'inferno, qualsiasi cosa volesse dire.

Strinsi come mai avevo fatto in vita mia, senti le ossa spezzarsi e il sangue riempirmi la bocca. Il nemico sibilava e la sua trachea era un macello. La trachea? Beh insomma quella massa di roba rossastra e bianca che gli avevo strappato dal collo. Lo avevo ucciso.

Mi accucciai fra i crateri delle bombe con il cuore in gola. Volevo scappare ma non c'era posto dove rifugiarsi, volevo correre, ma avevo perso la mia Triade. E il resto della squadra? Se la paura avesse un odore... Alt! Fermi tutti! La paura ha un odore e questo l'ho sempre saputo: la paura odora come... biancheria vecchia e stivali di cuoio, rose appassite e polvere d'autunno.

Ero terrorizzato seppure non temessi di venire colpito da uno dei raggi di fuoco. Se fossi morto avrei ritrovato i miei fratelli. Non mi importava. Il mio era un terrore più profondo, ancestrale: era la paura di essere rimasto solo, completamente isolato nel Gioco. Non ero mai stato solo: sono nato abbracciato ai miei fratelli e poi mi sono subito attaccato alla tetta di mia madre.

Sotto la pioggia di fuoco i Delta Rex erano scomparsi. Io avevo perso la mia squadra e la mia Triade. Ero di nuovo un novellino come al primo Segmento. Un puntosolonelfuocosenzaconnessioni, una particellaperdutanelsiliciodelmainframe, unatomoannegatonellarchietturadelsoftware. Le parole sconosciute mi esplodevano nel cervello mentre il fuoco e i raggi di luce mietevano i miei amici.

Da solo non potevo farcela. Senza i miei fratelli non esisteva salvezza. Ero sul punto di perdere il senno.

Non sapevo cosa fare: potevo raggiungere i miei fratelli morti o riprendere a strisciare nel fango, nascondermi, sopravvivere. La prima opzione mi attirò come una falena è catturata dal pulsare del neon: i raggi di fuoco avrebbero spento la paura e il dolore. Poi mi ricordai di Blaster e Dick jr. Loro cosa avrebbero fatto? Probabilmente avrebbero ghignato sghembi, pensando di uccidere almeno un paio di Nemici prima di perire fra le fiamme. Ma prima sarebbero venuti a cercarmi, mi avrebbero tirato fuori dal cratere in cui mi ero rifugiato e mi avrebbero accoltonellabbracciopelosodiconnessionibrucianti. Beh, gli avrei reso onore. Avrei cercato altri membri del branco per poi correre con loro verso la nostra ultima carica!

Fu allora che sentii il cervello bruciare e le narici si riempirono dell'effluvio elettrico della disconnessione al Gioco. Ululai con tutte le mie forze e mi ritrovai nella Camera di Immersione...

"Bentornato" disse la donna in camice bianco. Aveva un pad in mano ed era bellissima. Senza neppure un pelo.

"Game Over?" dissi io non capendo.

"Rob dei Delta Rex, Robert pallino II, cucciolata di Nova Spes, sei tu giusto?"

Annuii. Solo sentire il mio nome mi faceva venire voglia di scodinzolare, ma poi ricordai che non avevo la coda e quindi mostrai i denti imbarazzato.

"Rob, grazie al Gioco hai imparato a ragionare, a parlare e a combattere. Infine hai superato l'ultima prova".

"Cioè?"

"Hai capito che il Gioco non si può vincere da soli. Gli individui non contano nulla: possiamo farcela solo se rimaniamo uniti al branco!"

Cercai di rimettermi in piedi: nel cubicolo sentivo odore di feci e cloroformio. "Bella roba" dissi, la lingua mi sembrava gonfia e impiastricciata "ho perso lo stesso".

"Il tuo encefalogramma è perfetto invece. Non sei caduto nel Gioco e hai resistito fino all'ultimo livello. Sei diventato un Cittadino, complimenti!"

Io sbalordii, volevo abbracciarla e baciarla. Con uno slancio mi misi eretto. Per un attimo la guardai nei bellissimi occhi cobalto, poi sentii un dolore tremendo alle anche e crollai a terra. Ero sempre stato connesso al Gioco, ma sapevo che diventare Cittadino mi avrebbe permesso di vivere nella Vita Vera. Era fantastico! Ma perché non riuscivo a reggermi in piedi?

"Povero Rob, sei un cane da guerra, non un umano! Ricordi?" Il sorriso della dottoressa era dolcissimo seppure lievemente imbarazzato.

Scossi il capo: mi sentivo confuso... non ero un essere umano? Pensai ai serpenti che tanto mi piacevano, alla guerra e al Gioco, a quando avevo azzannato il nemico, al branco che avevo perduto. "I miei fratelli..."

"Sono morti. Poche unità ce la fanno al processo di attivazione cognitiva. Ma quelli come te sono preziosi. Ne vale la pena! Vieni con me".

"Io prezioso? E perché?" La seguii completamente nudo e a quattro zampe fuori dalla Camera di Immersione. Attorno file su file di gabbie mostravano altri novellini alle prese con il Gioco. Vidi anche dei cani con lo sguardo spento e un rivolo di saliva rossa fra le fauci. Sentivo il puzzo della connessione saltata.

"Caro Rob, fuori dal sistema solare c'è una vera guerra da combattere e gli assaltatori classe canide sono preziosi".

Uggiolai "ma io non so combattere per davvero!" e neanche per finta se è per questo, pensavo.

"Scherzi? Il gioco ti ha insegnato tutto, sai parlare e comprendi le tattiche. Sei pronto alla guerra".

La splendida dottoressa mi aveva accompagnato in una stanza piena di altri cani con la mia stessa stupita espressione sul volto. Tutti non avevano più la coda e tutti erano rosa come porcelli.

"Anche loro ce l'hanno fatta. Il 5% di quelli che hanno iniziato il Gioco nel tuo stesso Segmento, i quattromilaseicento, circa, migliori assaltatori della Terra" disse lei grattandomi dietro l'orecchio.

Mi esaltai: avevo trovato un nuovo branco, non ero più solo! Ora avrei combattuto e avrei vissuto e forse sarei anche morto per quella donna dagli occhi cobalto e per i miei fratelli.

Poi con il mio sciocco cervello di cane riuscii a riformulare la domanda che avevo sulla punta delle fauci: "posso rifiutare?" Ora che ero un Cittadino avrei potuto rifiutare di combattere? Non volevo perdere altri amici.

La dottoressa doveva aver capito il mio dubbio. Mi guardò e allargò le braccia: "È tua la scelta", disse.

Rabbrividii: ora che vedevo il mio branco e ricordavo chi ero mi sentivo finalmente vivo. Sentivo l'odore e il calore degli altri cani. Alcuni mi guardavano. Tutti mi stavano aspettando. Mi resi conto di aver già scelto. Avevo vinto il Gioco ed ero stato addestrato. Avevo giocato da quando ero nato per questo: per combattere per conto della Terra insieme ai miei fratelli. "Certo!" esclamai. Avevo scelto di combattere e morire con il mio branco. Sia lode all'umanità!

Chiudo questa testimonianza dato che sto per partire per il fronte. Ho imparato moltissimo grazie al Gioco: ho appreso la mia posizione nella scala del potere: un cane da guerra. Ho imparato ad obbedire e persino a far di conto e parlare. Un gioco dentro il Gioco. Ho trovato una nuova famiglia e il branco per cui combattere.

Questo è l'insegnamento più importante del Gioco, la terza legge: è necessario trovare il proprio posto nel sistema, nella Triade e nel branco. Nessuno di noi è una monade solitaria, ma un soldato forgiato per combattere la guerra dei nostri Padroni.

Spero che questa testimonianza sia utile ai Bob, ai Dick agli Speedy e agli Axel che verranno. Fratelli ricordatevelo: non siete soli!

<fine trasmissione>

Il programma spedì la testimonianza a tutti i nuovi cittadini del progetto Gioco. Poi la deposizione di Rob, al secolo Robert Pickerton, nato nel 2431 di razza umana e convertito per volontà degli Autarchi in un cane da guerra fu archiviata nel mainframe del Tribunale dei Diritti di Razza. Era la pratica numero 11.222.347/D.

Rob, come altri milioni di soldati, venne mandato al macello nelle trincee delle Perseidi. Non avrebbe mai saputo né ricordato le proprie reali origini ma avrebbe combattuto con fiducia la guerra dei suoi padroni.

Un uomo può ribellarsi, un cane ubbidisce alla legge del branco. Sempre.

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