Due parole sparpagliate con (e di) Loris Fabrizi

A cura di Claudia Brigida Speggiorin


Oggi abbiamo invitato al Paradiso di Caino Loris Fabrizi per darci un "assaggio" di poesia che pubblica sul suo blog amatoriale. Scrive anche racconti e alcuni suoi scritti sono diventati spettacoli teatrali, insomma, una penna che a noi è piaciuta. Lascio spazio alle sue parole che meglio di me sanno dargli voce.

In genere definisco l'insieme delle mie poesie "il grande campo"; questo è il titolo che darei a un'eventuale antologia.
La mia produzione poetica è per lo più in rima, con metro vincolato, probabilmente perché il mio gusto poetico nasce dallo studio delle opere di letteratura medievale.
I temi invece sono liberi, ma fanno tutti riferimento, in un modo o nell'altro, alla mia vita nel momento in cui sono state scritte e la disomogeneità di stile e codice ne è il segnale evidente.
Con questi versi ho creduto di aver registrato i miei stati d'animo durante gli istanti unici che ho vissuto nel corso di questi ultimi 5 anni, dalla nascita di mia figlia, alla malattia e alla morte di mio padre, nonché ai drammi e alle riflessioni collettive che ci hanno scosso come Paese.
Piccoli istanti mentali e spirituali che rischiano di sparire nella complessità e nella durezza della vita.
Questo sono per me le poesie: piccoli fiori in un grande campo.

1
L'ALBERO DELLA VITA

L'albero dalla chioma di smeraldo
si ergeva contro un cielo nero e terso.
Seguendo la sua forma m'ero perso:
se il nulla ha voce, io ne ero l'araldo.

L'albero invece era lì, enorme e saldo,
radicato a fondo nell'universo,
nell'eternità da cui era emerso.
Era il buio e la luce, il freddo e il caldo.

Fui rapito da un'incosciente voglia,
un desiderio infantile e ancestrale:
volevo fosse mia almeno una foglia.

Era l'impulso, il bisogno vitale
d'immensità di un'anima spoglia.
Dentro di me c'erano il bene e il male.

2
IL MURO DI ROSE

Senza che ne valutiamo i costi
incidiamo profonde ferite
sulla pelle delle nostre vite,
ci urliamo contro dai fronti opposti

di un muro di rose, i cui gambi
intrecciati sono irti di spine.
È il presagio assurdo della fine
che spaventa, che ferisce entrambi.

Ci farà male strappare i rovi,
ma le mani offese e sanguinanti
tergeranno i molti, troppi pianti
offerti ai dolori vecchi e nuovi

di un cuore forte che non riposa,
di una mente stanca, ma irrequieta,
quando con l'animo del profeta
pianteremo ancora un'altra rosa.

3
L'UOMO CON DUE CASE

C'era una volta un uomo con due case.
Una di queste case era il passato,
da cui era fuggito, a cui era tornato.
Rifugio lontano. Scomoda base.

Perciò non fu lì che l'uomo rimase.
Andò all'altra casa, che era il futuro,
da costruire muro dopo muro,
da raccontare frase dopo frase.

Si accorse un giorno che non c'era il vuoto
tra la casa vecchia e la casa nuova,
poiché il passato era ancora una prova
e il futuro era un corridoio noto
che partiva da una porta malmessa.

Arrivava a una parete di vetro,
il corridoio che l'uomo percorse,
e guardando oltre capì che forse
era solamente entrato dal retro
e che le due case erano la stessa.

4
UNA SOLA FACCIA

Dipendenti, assuefatti alla fortuna,
sottostiamo al lancio di una moneta
che volteggia per aria.

Le facce si alternano una a una
affinché il verdetto si ripeta
nella sorte binaria.

Ogni respiro è nell'attesa
dell'esito che verrà estratto,
a cui concediamo la resa:
la faccia che cadrà di piatto.

Caduta che decide il nostro fato:
da un lato giusto, dall'altro sbagliato.

Ogni nuova decisione è un azzardo,
ogni ulteriore giudizio un assalto
dualista: dentro o fuori.

È sufficiente un timoroso sguardo
alla faccia rivolta verso alto:
vinci o perdi, vivi o muori.

E anche chi vince e non muore
rimane per sempre diviso:
mente o anima, testa o cuore;
tanto è umano essere indeciso.

Errori del destino, uno sbaglio,
caduti in equilibrio sul taglio.

Vivendo di incertezze e ipocrisie,
il destino assurdo ci dà la caccia
perché alla fine siamo anomalie:
monete con una sola faccia.

5
CORVI NERI

La paura clemente
di perderti di nuovo,
come quando non c'eri,

come quando ero niente,
è il nido, il covo
dei miei corvi neri:

Frygt ed Erindring, timore e ricordo,
che io stesso chiusi un tempo nell'oblio
fingendo d'esser solamente mio.
Da allora vivo sul bordo

di una riva del fiume Follia,
che eternamente scorre senza sbocchi
sotto l'egida di uno sguardo torvo

che mi osserva da una vecchia stia.
Una vita spesa in balia degli occhi
di vetro e di ossidiana di un corvo.

Oggi la gabbia si è riaperta
liberando i suoi cupi prigionieri
e io sono precipitato a ieri:
nessuna verità è più certa.

I corvi volano infuriati
spargendo in aria nerame di piume,
beccano il sole, ne rodono i margini,

crudeli e voraci, i miei spettri alati
vomitano l'imbrunire e il fiume
è a rischio di rompere gli argini.

Le mie speranze sono solo abusi.
senza te, tremori dell'ego, senza.
Mostrati, usami ancora clemenza
così che i miei corvi siano rinchiusi.

6
HO PERSO UN BATTITO

ll cuore ha perso un battito.
L'avviso e il primo sintomo
- il mio -
di ciò che affligge l'animo.

L'ho perso in un sol attimo,
Lì, nel riflesso intimo
- il tuo -
del mio diletto spasimo.

7
ANGELI DI PIETRA

Sono angeli scolpiti
nella pietra viva,
i nostri alti ideali:

senza colpa, senza dolo,

impenetrabili a tutti i mali.
Ispirati dalla luce sorgiva
occultata da troppi riti

provano a spiccare il volo

perché si chiedono stupiti
"Questa luce da dove arriva?"
ma hanno di pietra anche le ali

e restano ancorati al suolo.

Grazie Loris per aver accettato il nostro invito. Lascio il link del tuo blog per chiunque voglia conoscerti meglio.

https://sonoloris.com/category/poesia/ https://sonoloris.com/





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