Ho mangiato un gelato con la Morte - di Constance S.


Mi sentii tirare la maglia.

"Mamma, mi compri un gelato?", pigolò una vocina alle mie spalle.

Mi girai e vidi una bambina dal colorito cereo e i lunghi capelli chiari.

"Ti sbagli. Io non sono tua madre" mi affrettai a specificare.

Con un movimento troppo meccanico, lei piegò la testolina ovale di lato.

"Ne sei proprio sicura?" ribatté, con un sorriso furbo che mi rese inquieta.

In realtà non lo ero affatto...

Le comprai un cono gigante e la condussi per mano in uno dei tavolini tondi del bar.

"Come ti chiami?".

Senza smettere di leccare il gelato panna e fragola, lei scrollò le spalle.

"Non lo so. Non avevi ancora scelto un nome, per me".

In quell'istante accusai uno spasmo doloroso che dal petto culminò con un nodo alla gola.

"Cosa ne pensi di Lily? È carino, vero?" continuò lei, entusiasta.

"Vero... " confermai, faticando a fare uscire la voce.

Sussultai quando Lily appoggiò una manina gelida sulla mia.

"Non essere triste, sono venuta per darti la possibilità di rimediare ai tuoi errori. Che ne dici, ci stai?".

Annuii piano, come in trance.

La fissai. Numerose pagliuzze dorate brillavano nelle sue iridi, che erano enormi e verdi come le mie.

Il cuore incredulo, scrutai ogni particolare di lei; il vestitino a fiori, la borsetta e le scarpette bianche.

Una spilla rossa a forma di fiore spiccava come una macchia di sangue tra i capelli chiari, quasi bianchi.

"Il mio psichiatra afferma che sto facendo progressi e che presto potrò lasciare la casa di cura, ma dice anche che per riuscirci dovrò dimenticarmi di te".

Non so perché glielo dissi, ma ero certa che lei dovesse sapere.

Lily si irrigidì e smise di dondolare le gambe sotto al tavolo.

"Il tuo psichiatra è cattivo. Dobbiamo fargliela pagare".

§§§

Quel mattino mi sedetti su una panchina del parco dell'ospedale psichiatrico; quella più vicina allo stagno. Possedevo ricordi confusi della notte appena trascorsa.

Vidi braccia che tentavano inutilmente di proteggersi e udii una domanda ripetuta in modo ossessivo, perché lo fai? Nella mia mente scomposta come le tessere di un puzzle, l'oscurità era spezzata dal luccichio di una lama che affondava ripetutamente.

Sbadigliai profondamente, ero tanto stanca...

Lo starnazzare delle anatre dal collo verde e blu non copriva il frastuono che proveniva dalla casa di cura, che pullulava di medici e agenti di polizia.

Mentre il cadavere del mio psichiatra, chiuso in un sacco blu, veniva caricato su un furgone, udii una vocina squillante.

"Ti sei lavata le mani?". Lily parlava vicina al mio orecchio.

Teneva le braccia incrociate sulla spalliera della panchina.

Le mostrai le dita pulite. Le avevo strofinate energicamente nell'acqua gelida dello stagno per eliminare le macchie di sangue.

"Bene", sussurrò lei. "Ora possiamo andare al luna park".

Le comprai lo zucchero filato.

Il candore della nuvola bianca attorno al bastoncino, era simile a quello dei capelli di Lily, che parevano più radi.

"Stai bene?" le chiesi osservando il suo volto smunto, privo della freschezza del nostro primo incontro.

Lily divenne seria.

"Purtroppo, no. Lo vedi quell'uomo laggiù?" fece, indicandomi un tipo dall'aria tranquilla che si aggirava tra le attrazioni. "Lui fa del male ai bambini. Se io fossi stata viva, mi avrebbe presa e portata via con sé".

Un fuoco alto e veemente prese ad ardere dentro di me.

"Ne sei sicura?", le chiesi.

Con la faccia scarnificata, più simile a un teschio che a un volto umano, Lily annuì.

Colma di risentimento verso colui che avrebbe potuto fare del male a mia figlia, fissai lo sconosciuto.

"Allora gliela farò pagare".

§§§

"Adesso basta, Lily. Sono stanca", mi lamentai lasciandomi cadere sul sedile dell'autobus. Quello accanto al finestrino.

Il movimento brusco rischiò di fare uscire dalla borsa il coltello incrostato di sangue. Lo ricacciai dentro e chiusi la zip.

Avevo giustiziato quell'uomo all'interno della galleria degli specchi. Tante me che alzavano il braccio e colpivano, colpivano, colpivano... Mi strofinai il volto contratto con le mani.

"Sei contenta?", chiesi alla mia Lily, seduta alla mia destra.

Le accarezzai dolcemente i capelli e una ciocca canuta mi rimase tra le dita.

Lily era livida ed bluastra. Il volto incavato accentuava le proporzioni giganti delle iridi.

"Non sono ancora soddisfatta" rispose, lapidaria. "Osserva quella signora anziana seduta dietro all'autista. La riconosci? Sono passati dieci anni ma non è cambiata molto".

Guardai nella direzione indicata e scorsi una donna dall'aspetto vagamente familiare. Riconobbi con orrore la ginecologa da cui mi ero recata per porre rimedio al guaio di essere rimasta incinta. Come allora, portava ancora i capelli raccolti in uno chignon.

Ero solo una ragazzina, non potevo prendermi cura di te...

Scossi la testa. Dapprima piano, poi sempre più energicamente.

"Non puoi chiedermelo, Lily. Non voglio farlo", piagnucolai.

"Per favore. È l'ultimo sforzo prima del gran finale".

§§§

Il gran finale. Ecco il gran finale.

Te lo avevo promesso. Sei contenta?

Io sono tanto stanca. Ma voglio che tu sia fiera di me.

Ansimante, col braccio indolenzito, gettai tra l'erba alta della boscaglia il coltello macchiato del sangue di tre persone.

Sangue innocente?

Afferrai per le braccia il cadavere dalla testa ciondolante della ginecologa, e lo trascinai tra i rovi, lontano dal ciglio della strada e dalla vicina fermata dell'autobus.

La sua voce era compassionevole. Mi diceva di stare tranquilla, mentre ero stesa sul lettino del suo ambulatorio.

Mi girai e trovai Lily sotto una quercia.

La spilla rossa disperatamente appesa agli ultimi fili argentati che pendevano dal cranio pelato.

"Sei contenta?" le chiesi ancora, barcollando nella sua direzione.

Se mi avesse detto di no mi sarei frantumata come un bicchiere gettato sul pavimento.

Non era sola. Alle sue spalle tre figure fosforescenti mi osservavano. I loro abiti erano macchiati di sangue.

Forse non avrei dovuto smettere di prendere le medicine.

"Cosa significa?" chiesi, fermandomi di scatto.

Gli sguardi minacciosi del mio psichiatra, dell'uomo incontrato al luna park e della ginecologa erano puntati su di me. All'improvviso mi fu tutto chiaro.

Non riuscii a impedire che un sorriso amaro allungasse le mie labbra tremanti.

"Questo è il gran finale, vero?".

Ero solo una ragazzina, non potevo prendermi cura di te...

La mia Lily però era già sparita. Non c'era più, e forse non c'era mai stata.

Ho mangiato un gelato con la morte.

Ebbi appena il tempo di raccogliere la spilla rossa caduta tra le foglie. La strinsi forte nel palmo, mentre venivo circondata dalle mie stesse vittime. Innocenti?

FINE

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