Quel vizio di prendere tutto alla lettera

Non è facile essere me, non pensate.

Lo so che ora può sembrare il contrario, con il Paradiso e tutto il resto, con un poeta come Loris Fabrizi che decide addirittura di dedicarmi un po' di pulviscolo d'anima.

Pulviscolo prezioso, leggetelo che vi fa solo bene al cuore, meglio del miele di Manuka e dell'olio d'oliva.

Però, insomma, guardiamoci negli occhi: ho avuto una vita complicata.

Sempre in viaggio, risputato ora da un posto, ora da un altro. 

Dicono che partire è un po' morire.  Non saprei. Non sono mai morto e, a differenza di voialtri, non mi capiterà. Però mi è capitato di partire e, cazzo, non ci si fa mai il callo.

Lasciarsi dietro tutto quanto, comprimere ciò che hai di più caro in una valigia, uno zaino, una sacca.

Non voltarsi indietro per non sentire l'uncino del rimpianto, e poi rimpiangere di non essersi voltati.

Insomma, forse ha ragione quel tale, partire è un po' morire. Però è anche un po' vivere, perché nelle partenze c'è il profumo delle possibilità, la brezza dell'eventuale, dell'inatteso.

E' fresca, sulla pelle, e anche se questa cosa dell'esilio non è che sia stata proprio un'idea mia, alla fine ci ho preso gusto.

Mi piacciono gli esili, le scelte da cui non si torna indietro.

Adoro stare dalla parte sbagliata, perché c'è più spazio per allungare le gambe e perché, dalla parte sbagliata, la parte giusta si vede che è una bellezza.

E poi, dove altro potrei stare?

Sono il Nume tutelare delle scelte impulsive e delle cose prese troppo alla lettera e, se ci pensate, quasi tutti i guai in cui vi siate mai cacciati, nella vostra vita, dipendono da una di queste due cose, o dall'altra. 

Per questo, alla fine, volete stare qui.

Per questo, in fondo, un po' vi sono simpatico.

Buonanotte, Stirpe.

                                                                                                                     Caino